Giochi del decennio: What Remains of Edith Finch è incentrato sul lieto fine - articolo
I videogiochi sono notoriamente caratterizzati dalla morte, ma raramente tendono ad analizzarla a fondo, per esplorare cosa quella morte significhi, oltre a rappresentare un fallimento, un punto da cui ripartire o una vittoria. What Remains of Edith Finch è forse la più grande eccezione a questa regola. Suddiviso in parti uguali tra una fiction da antologia e una tragedia di una dinastia, è la storia di una famiglia destinata a morire prematuramente, come raccontato dall'ultimo membro rimasto in vita. Come Gone Home moltiplicato per 13, vi piazza in un'enorme casa apparentemente costruita dal Dr Seuss, in cui ogni stanza contiene un oggetto che vi riporta agli ultimi istanti di vita del suo proprietario.
Non è la morte che prende il sopravvento sui Finch, ma sono le loro fantasie riguardo alla morte. Sono veicolate dal loro tentativo di immaginare il momento finale, accompagnato da malattia e disgrazia. A volte questi tentativi sanno di sconfitta (penso a Lewis, l'impiegato dalla ditta di scatolame). E talvolta sanno di trionfo, come i grigi dettagli dei quotidiani e delle lettere del medico.
Molly, il cui decesso è il primo in cui v'imbatterete, dipinge sé stessa come un mostro sotto il suo stesso letto affamata di lei. Milton, l'artista nella torre, si descrive come fuori dal mondo con un arco (una sequenza che con grande carisma e incisività rimanda al precedente gioco di Giant Sparrow, Unfinished Swan). Le parti più tristi del gioco non sono (almeno per me) le morti, ma le inconsolabili disperazioni di coloro che sono rimasti, ed in particolare di Dawn (la madre di Edith), che sigilla le porte della casa nel tentativo di confinare la maledizione della famiglia. Nel riaprire quelle stanze, state consentendo a quella devastazione di evadere verso il tramonto, lasciandovela alle spalle come le tenebre che calano.
