FIFA e l'effetto “Call of Duty”: chi disprezza compra - editoriale
Negli ultimi giorni, come ogni maledetto ottobre, si è scatenata la solita discussione attorno a FIFA 21. Un titolo che anno dopo anno viene semplicemente aggiornato e limato senza introdurre rivoluzioni trascendentali, un prodotto che si ripresenta ormai tale e quale nella sua formula granitica.
Nonostante la consueta pioggia di critiche, qualsiasi publisher del pianeta vorrebbe poter vantare un FIFA nel suo portfolio; basti pensare che Electronic Arts, alla fine del solo 2019, aveva incassato quasi cinque miliardi di euro, la maggior parte dei quali provenienti dal suo calcistico (l'intera Ubisoft ne ha fatturati meno, ndSS).
Ora, quella di oggi non vuole essere una riflessione sull'importanza delle vendite e dei profitti, né tanto meno una disamina volta a integrare il concetto di "successo" nell'analisi critica. La critica deve operare su un binario disgiunto rispetto a quello dell'evoluzione dei mercati, adottando metriche completamente diverse e lasciando da parte qualsivoglia risvolto economico. Del resto, se così non fosse, la saga di Fast & Furious andrebbe accostata a opere come Il Padrino o Il Cacciatore.
