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Atomic Heart – Recensione

Letto il nome del gioco e vista l'immagine in evidenza avrete immediatamente pensato all'anno appena trascorso, a quanto la Russia abbia fatto parlare di sé con quel tragico conflitto che sta affliggendo il mondo intero. A quel punto avrete, molto probabilmente, associato Atomic Heart alla Russia e alla sua propaganda. E non possiamo biasimarvi; visti i soggetti trattati e persino la data di uscita del titolo – fissata a un anno esatto dall'inizio del conflitto in Ucraina – il pensiero ci si aggancerebbe in automatico. Eppure siamo videogiocatori. Siamo un pubblico di vaste vedute e di grande interpretazione: e così è anche Atomic Heart.



Erroneamente etichettato come “il gioco russo che fa propaganda russa” solo per indignazione e mai per informazione, Atomic Heart è prodotto da una software house con sede a Cipro ed è in sviluppo da ben cinque anni – un titolo del genere non puoi farlo in poco tempo, del resto. Perciò, fatta questa sgradita, ma doverosa premessa, possiamo analizzare il titolo di Mundfish per ciò che ne rappresenta la sua essenza e per come si fa giocare. Non siamo mica gli autori di quel famoso 1/10 a Hogwarts Legacy (qui trovate una sua vera recensione, intanto).



What If…?



Appena si apre il sipario, Atomic Heart ci propone una visione distopica del mondo come lo conosciamo. Cosa sarebbe successo se, durante la Seconda Guerra Mondiale, l'Unione Sovietica avesse sovvertito l'Ordine Mondiale e avesse vinto? La risposta ci è data nei primi minuti di gioco. La storia è riscritta, e alla fine dei conflitti ha inizio la comodità. In mancanza di necessità di nuovo armamentario, la tecnologia russa si è evoluta fino a raggiungere il suo apice, il livello massimo di creazioni e creatività. Oltre allo sviluppo della pratica della polimerizzazione, in cui si arriva alla possibilità di guarire da malattie e ferite in tempi celeri e all'apprendimento di lingue straniere o altre specializzazioni in cinque minuti, l'Unione Sovietica fa sua l'idea dei robot.



Atomic Heart è, infatti, ambientato in un mondo in cui umani e robot convivono pacificamente, con i primi al comando perenne dei secondi, sempre leali e – quasi – efficienti. Ma la più grande comodità si può trasformare in uno schiocco di dita nell'incubo più terrificante. Il progetto robotico, già in funzione e reso pubblico da un anno, viene hackerato da un agente interno e, di colpo, le servili macchine mutano in spietati assassini a caccia di “invasori della patria”: tutta l'umanità.



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Giorni di un futuro passato



La polimerizzazione universale, avvenuta nel “passato futuristico” del 1955, sarà parte integrante della vita del protagonista, il Maggiore P-3. Accompagnato dal suo guanto meccanico parlante CHAR-les, dalla personalità ragionata e piena di sorprese, a differenza del suo stesso padrone – i due saranno chiamati alle armi per scovare e fermare il traditore della patria. L'incipit della trama di Atomic Heart consiste in questo, ma tutto è in continua evoluzione.



Tra personaggi con motivazioni sensate, intelligenze artificiali di un certo spessore e personalità che spaziano tra il profondo e l'esilarante, il lavoro estenuante di Mundfish traspare sin da subito. E quella che agli occhi di molti può sembrare un tentativo di pronunciare un messaggio propagandistico pro-Russia, in realtà è ben altro: tutti gli scenari sono talmente – e volutamente – esagerati da fare il giro e trasformarsi in una critica, uno sfottò. Difficile credere che sia effettivamente il loro primo titolo.



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L'alba di grandi scoperte



Nel corso dell'avventura, della durata di più di venti ore, P-3 dovrà vedersela con tanti temibili tipi di macchine. La peculiarità di questo FPS, seppur raramente frenetico, sta nell'instillare nel giocatore il perenne senso di insicurezza e di inadeguatezza anche verso i nemici più scarsi o buffi. Per fare un esempio, quantomeno nelle prime fasi di gioco, i robo-manichini di dubbio e buffo aspetto picchieranno forte. Troppo forte, forse, e richiederanno un bel quantitativo di colpi di accetta per andare giù. Non mancheranno scenari davvero terrificanti, cupi e da cardiopalma; il primo esempio è lo spaventoso incontro con il gigantesco robot verme, di cui però tralasciamo ulteriori dettagli.



Si comincia ad avere un po' più il controllo della situazione quando la riparatrice, una macchina dall'IA pervertita, ci svilupperà i vari progetti trovati nella mappa di gioco, tra armi quali pistole elettriche e un fucile elettromagnetico. Oltre l'equipaggiamento tradizionale, avremo anche la possibilità di far crescere la letalità di CHAR-les sviluppando per lui abilità di ogni gusto, che siano scosse elettriche oppure scudi e onde di ghiaccio per congelare gli avversari, stravolgendo quel che può sembrare il gameplay di primo acchito e aggiungendo qualche bel pizzico di varietà.



L'ispirazione è la più grande forma di adulazione



Eppure, in tutto ciò, non siamo riusciti appieno a digerire il gunplay di Atomic Heart. Forse, complici i movimenti non proprio rapidi di P-3 e un sistema di mira forse troppo legnoso, abbiamo trovato più difficoltà a causa della reattività del protagonista che non per la letalità dei nemici – sempre da non sottovalutare, comunque.



Per molti versi, Atomic Heart si rifà a BioShock. Non solo per il senso di terrore di fronte a un possente nemico, per la sua regia oppure, banalmente, per la tradizionale scelta di implementare i punti di salvataggio. Atomic Heart offre una grandissima varietà di gameplay, fa scegliere al giocatore in che modo affrontare gli ostacoli meccanici grazie alle novantaquattro abilità diverse e al peculiare stile di gioco two-handed. Ed è sempre pronto a “ribaltare il risultato” e a cambiare le carte in tavola con nuove meccaniche introdotte anche ore e ore dopo l'inizio del gioco. Tra le più importanti c'è l'esplorazione degli ambienti aperti: enormi, dettagliatissimi e caricati in una frazione di secondo grazie all'SSD di PlayStation 5.



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Spara con l'arma giusta



Eppure, già solo l'introduzione di Atomic Heart, è facile capire perché molte produzioni moderne, pur essendo ancora in era cross-gen, stanno scartando le vecchie generazioni. La versione PlayStation 4, per quanto anch'essa valida, porta con sé palesi compromessi. La versione definitiva da giocare è senza dubbio quella PlayStation 5, anche solo per non perdervi quegli affascinanti 60 frame al secondo – che però si perdono durante le cutscene e nel mezzo di fasi concitate – e per gustarvi la capacità di calcolo impressionante dei nuovi hardware. È qualcosa che si capisce a occhio nudo già nell'intro, appunto. La Parata al Complesso 3826, una zona piena di dettagli e di vita, ricca di NPC che parlano, ridono, scherzano, si muovono: sono vivi ed è tutto una festa. Un enorme showcase della qualità grafica di Atomic Heart: pulita, solare e vivace, ma tetra e spaventosa quando vuole esserlo.



Un piccolo richiamo agli sviluppatori, tuttavia: è un brutto errore nascondere dietro dei complessi menù l'attivazione di una funzione importantissima quali i trigger adattivi del controller DualSense – mai, in verità, sfruttati a dovere nel gioco. Nascosta dietro muri di testo c'è anche la possibilità di attivare l'audio del parlato in italiano, impostato sull'inglese di default ma suggerito di cambiarlo in russo dagli sviluppatori per una maggiore immedesimazione. Cosa che funziona, un po' come nella serie Metro, ma non ci sentiamo per questo di screditare il doppiaggio in lingua italiana che, seppur non valido al 100%, si lascia apprezzare.



Trofeisticamente parlando: difficoltà Kollectiva



“Quanto vuoi fare difficili i tuoi trofei? Sì.” Così com'è il gioco, anche la lista trofei di Atomic Heart non lascia scampo alla generosità. Per collezionare i quarantadue trofei, Platino incluso, i giocatori dovranno completare la storia alla massima difficoltà (ed è già un grande ahia), creare e collezionare tutte le armi, potenziarne una al massimo, scansionare tutti i tipi di nemici, investirne venti con l'auto e dare la caccia ai tanti, tantissimi collezionabili. Nessuna pietà e nessun robot pronto a fare questo lavoro per i cacciatori di trofei. Ci sarà da rimboccarsi le maniche.




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20 febbraio 2023 alle 14:10

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