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Oldboy

ha scritto una recensione su Drakengard 3

Cover Drakengard 3 per PS3

Il fiore e il dragone

Dopo due capitoli di epoca PS2 sotto la gestione di Cavia, nel 2013 la serie di Drakengard fa il suo approdo sulla generazione successiva di console con il suo terzo e fino ad oggi ultimo capitolo.
Il brand storicamente pubblicizzato negli anni da Square Enix debutta così per la prima volta su PS3, forte di due sostanziali novità. La prima è rappresentata dalla comparsa di Access Games, il nuovo team coinvolto in prima linea nello sviluppo del gioco. La seconda è il ritorno di Yoko Taro in cabina di regia, dopo la mancata presenza del sopracitato tra le fila dello staff di Drakengard 2.
La commistione di questi due elementi, nel bene e nel male, saranno gli artefici dell’identità di questo terzo capitolo di Drakengard. Guardando indietro nel tempo, si può notare come la serie abbia sempre sofferto tremendamente di due cose in particolare: un gameplay mai realmente convincente (e soprattutto coinvolgente) e l’impossibilità di rinunciare alle capacità di scrittura del suo autore principale, come testimonia la sceneggiatura con pochissimo mordente di Drakengard 2.
Per Drakengard 3 (da ora in poi D3 per semplificare), dicevamo, questa volta scende in campo Access Games al posto di Cavia. Uno studio che mette in tavola decisamente più guizzi ed idee del suo predecessore. In D3 rimane presente la classica struttura di gameplay in due fasi tipica della serie, ovvero sezioni a terra che mescolano un po’ di action rpg e un po’ di musou, e sezioni in sella al drago di turno, che a loro volta si alternano tra battaglie su binari e scontri più “liberi” con boss e armate.
Access Games porta stavolta in dote un gioco privo della legnosità generale dei predecessori e fortunatamente non in grado di “rompersi” attraverso cose come lo spam ripetuto dei colpi, attacchi specifici di personaggi o combo particolari. Il senso d’azione generale che si prova giocando a D3 è sorprendentemente fluido, supportato da tante piccole migliorie che rendono forse per la prima volta piacevole usare il pad con un titolo della serie. Finalmente viene integrato un sistema di lock-on per il puntamento dei nemici. Le magie sono state rimpiazzate da una modalità chiamata Intoner mode, in grado di rendere invulnerabile e più potente la protagonista Zero per il tempo di consumo di un indicatore apposito. Le schivate e parate sono ben integrate nel gameplay e non sembrano semplici funzioni opzionali estranee al resto. Le armi sono un’infinità (e questo per la serie non è una cosa nuova), ma soprattutto permettono di alternare ben 4 stili di combattimento diversi tra loro ed intercambiabili liberamente in battaglia, grazie ad un piccolo menu rapido richiamabile in-game. Il passaggio da un’arma all’altra è così immediato rispetto ai precedenti capitoli che le combo di gioco ne guadagnano non solo in efficacia, ma persino in eleganza d’esecuzione. In tutto ciò anche le parti in sella al dragone vantano una cura maggiore ed una buona alternanza con quelle a terra, nonostante forse qualche piccolissima incertezza sui controlli.
D3 rende quindi finalmente giustizia alla serie dal punto di vista del giocato? Purtroppo, nonostante questo sia indubbiamente il miglior titolo del terzetto sotto questo aspetto, anche stavolta ci sono delle perplessità più o meno importanti. Tralasciando questioni specifiche come il level design generale, spesso scialbo, il lock-on sopracitato non sempre preciso, la telecamera non sempre perfetta in alcuni punti ed una certa ripetitività delle varie situazioni di gioco (ammazza, ammazza, ammazza), il vero grosso problema di D3 è legato al suo incostante e fragilissimo framerate. Bastano infatti pochi nemici a schermo per far crollare gli fps a numeri ridicoli e veder vanificare in un colpo solo tutto il buon lavoro fatto da Access Games. Giocare purtroppo un titolo di questo tipo in condizioni del genere va inevitabilmente ad incidere in maniera negativa sull’esperienza, ed è francamente un peccato.
Preciso che personalmente non ho percepito affatto questo problema perché ho giocato il titolo per vie “trasverse” e, attraverso l’uso di apposite patch correttive, fortunatamente diventa possibile aggirare tale ostacolo. Tuttavia, non sarebbe naturalmente corretto ignorare la questione solo per via di questa possibilità.
Dal “lato Yoko Taro” cosa dice invece D3? Come già successo con il primo capitolo, la mente stravagante e fantasiosa del game designer nipponico si conferma la punta di diamante dell’intero pacchetto.
A livello narrativo D3 parte subito a razzo. Il titolo si pone come un prequel del primo Drakengard del 2003 ed alterna momenti cupi e malinconici ad altri più ironici e leggeri. Il gioco intriga presentando una protagonista dalla natura misteriosa, Zero, che persegue una missione dai contorni non sempre chiarissimi. In compagnia del suo alleato dragone, Zero combatte infatti per un’unica ragione di vita: uccidere le sue cinque sorelle.
Il plot di D3 è veramente solo questo, ma è il modo in cui la storia si evolve gradualmente a coinvolgere appieno il giocatore, complice i numerosi colpi di scena sparsi per l’avventura e l’ottima caratterizzazione del cast. Zero e Mikhail risulteranno essere personaggi molto più sfaccettati ed interessanti di quello che potranno sembrare all’inizio, così come i villain ed i personaggi secondari.
Come da tradizione per la serie, il gioco propone vari finali alternativi per il destino di Zero e del suo dragone Mikhail, sbloccabili sostanzialmente in base al tempo che il giocatore deciderà di impiegare sul titolo. Ed esattamente come nel primo Drakengard, il “vero finale” sarà disponibile solo portando a termine gli altri e riuscendo a raccogliere tutte le armi di gioco.
̶E̶ ̶s̶c̶o̶n̶f̶i̶g̶g̶e̶n̶d̶o̶ ̶u̶n̶o̶ ̶d̶e̶i̶ ̶b̶o̶s̶s̶ ̶f̶i̶n̶a̶l̶i̶ ̶p̶i̶ù̶ ̶p̶u̶n̶i̶t̶i̶v̶i̶ ̶d̶i̶ ̶s̶e̶m̶p̶r̶e̶.̶
Dal punto di vista grafico, il titolo invece non brilla particolarmente. Le texture di gioco non sono di certo tra gli elementi più memorabili e, per quanto ci sia una certa varietà negli ambienti proposti, il risultato finale non convincerà mai il giocatore. Discorso diverso invece per i modelli dei personaggi, decisamente apprezzabili e pieni di fascino grazie anche all’operato del solito Kimihiko Fujisaka, già character designer dei precedenti titoli.
Pollice in su enorme per le musiche. Solitamente sempre positive nei vari capitoli della serie, questa volta l’OST spicca ancora di più grazie alla gradita presenza di Keiichi Okabe, già autore delle musiche di NieR e oggi apprezzato all’unanimità per il suo lavoro su NieR: Automata.
In conclusione, D3 è un titolo che "conclude" l’altalenante trilogia dark fantasy fatta di magie, fini del mondo e dragoni nel migliore dei modi, almeno per quanto riguarda la parte narrativa. La spinosa realizzazione tecnica macchia purtroppo le buone proposte di gameplay e le innovazioni introdotte con Access Games, rendendo di fatto impossibile uscire dall’esperienza totalmente soddisfatti. A meno che non si decida di optare per le vie alternative.