Ludomedia è il social network per chi ama i videogiochi. Iscriviti per scoprire un nuovo modo di vivere la tua passione.

Su Nino_Ethan

Ho scritto e scrivo di videogiochi. Amante di cinema, serie TV, musica e della cultura pop in generale.

Nino_Ethan condivide alcuni suoi interventi solo con i suoi amici. Se vuoi conoscere Nino_Ethan, aggiungilo agli amici adesso.

Nino_Ethan

ha scritto una recensione su ICO

Cover ICO per PS2

Anno 2001 (nessuna odissea nello spazio), negli Stati Uniti e in Giappone esce su PlayStation 2 ICO, prima esperienza come director per il giovane Fumito Ueda, dopo due lavori come animatore. Ciò che sappiamo di ICO, grazie allo stesso Ueda, è che il progetto nacque sotto forma di breve video della durata di tre minuti, prevalentemente in CGI, che mostrava tutta l’essenza che si sarebbe poi vissuta a sviluppo finito. Il game designer non aveva ancora nozioni sulle limitazioni della prima PlayStation, tuttavia alcuni elementi principali come IA e l'interazione ambientale erano obiettivi già prefissati; questo accadeva nel 1998, sulla prima console Sony.

Il mondo veniva costruito pezzo dopo pezzo, gli elementi su schermo venivano modificati costantemente, spesso lo sviluppatore si chiedeva se il gioco sarebbe stato appetibile, soprattutto per il pubblico occidentale vista l’assenza di punteggi vari e di “gioco”, basando tutto su un design realistico e una narrativa lineare. Ueda svelò che ICO sarebbe potuto uscire anche senza la coprotagonista, Yorda, qualora non si fosse riuscito a darle i movimenti e le fattezze giuste.

Fortunatamente ciò che Ueda aveva in testa rimase intatto, tuttavia era troppo per le capacità di PlayStation, quindi si decise infine di portare tutto su PlayStation 2.

Personalmente il titolo non ha toccato moltissimo le mie corde emotive, ritenendomi uno che si emoziona spesso anche per piccolezze, tuttavia ho apprezzato moltissimo le tecniche di game design messe in campo da Ueda e dal Team ICO, il comparto artistico invidiabile e l’interazione tra i due protagonisti, soprattutto il senso metaforico che il titolo voleva e vuole comunicare.

- Salva la cheerleader, salva il mondo -

Okay, non è proprio andata come la serie TV ideata da Tim Kring, ma passatemi la citazione, perché alla fine è quello che deve fare Ico, anche se Yorda non è proprio una cheerleader. Proprio no. Nelle cinque ore scarse che ho impiegato per concludere per la prima volta il gioco, non ho trovato nella narrativa e nello sviluppo degli eventi il punto forte della produzione, semplice e che scorre senza particolari sorprese.

Un gruppo di guerrieri approda sulla costa di un’isola che ospita un imponente fortezza, rinchiudendo il giovane Ico all’interno di un sarcofago di pietra in questo enorme salone che ne ospita a centinaia. Capiamo subito che il destino del ragazzo è segnato, se non fosse per una scossa di terremoto che sbilancia la sua prigione di pietra liberandolo. Spaesati, esploreremo le prime sezioni del castello, incontrando per la prima volta Yorda, una giovane ragazza imprigionata e difesa da delle strane creature ombra. Solo alla fine scopriremo il motivo della sua prigionia e perché la Regina del castello, pur ritenendola sua figlia, la tenesse isolata e rinchiusa.

Non vi svelo altro, anche se sarebbero una manciata di righe. Dico solo che non riusciremo mai a comunicare con Yorda, essendo la sua lingua e quella di Ico completamente differenti, tuttavia come scritto all’inizio ICO comunica più attraverso metafore e parole non dette, visto che il gioco ha dialoghi molto risicati e disposti con il contagocce. Tuttavia sarà molto facile affezionarsi al personaggio di Yorda, anche perché dovremo prendercene cura per tutta la durata dell’esperienza di gioco. Credo però che questa meccanica, soprattutto a livello ludico, possa annoiare i più, infatti le vendite piuttosto povere al momento del lancio lo dimostrano (circa 650,000 copie vendute a livello mondiale), pur l’eccitazione dimostrata dalla critica e dall’essere diventato un cult per gli appassionati.

Aggiungo infine che le copie PAL e quelle giapponesi beneficiano di un finale alternativo, sbloccabile dopo aver concluso per la prima volta il gioco, piuttosto carino che lascio a voi scoprire.

- Tendi la mano, fuggi dalla prigione di pietra -

Ho adorato il lavoro svolto in fatto di design e level design, in particolar modo le proporzioni precise in scenari che puntano tutto sulla verticalità, la quale si farà sentire nel gameplay con il giocatore che molto spesso dovrà scalare pareti molto elevate per superare l’ennesimo rompicapo ambientale, permettendo ai protagonisti di poter accedere all’area successiva. L’interazione costante con l’ambiente è un elemento cardine di tutta l’esperienza che vivrete con ICO, insieme alla risoluzione degli enigmi che ho trovato semplici nella loro soluzione, ma ben studiati. Certo, dovrete guardarvi intorno in continuazione, altrimenti perderete molto tempo nel capire come andare avanti, ma sta proprio qui secondo me il fulcro del videogioco: guardarsi intorno, fermarsi e contemplare ciò che ci circonda, soprattutto i giochi di luce quando questa filtra dalle torri più alte della fortezza, un elemento piuttosto unico che differenzia l’opera del Team ICO da molti altri prodotti dell’epoca.

In tutto questo, come anticipato nel paragrafo precedente, dovrete difendere Yorda dalle creature d’ombra che, nel caso riuscissero a inghiottirla nei pozzi oscuri che si originano con la loro presenza, potrebbero farvi incappare nel game over. Il titolo di per sé non è difficile, non credo si possa parlare di livello di sfida, ma appunto il game over esiste e si manifesta in due casi: la perdita di Yorda, la quale scatena una sorta di potere che pietrifica Ico, oppure nel momento in cui questo salta da altezze piuttosto elevate andando incontro a morte certa. Quindi se siete amanti delle sfide, di numeri su schermo, nemici da abbattere, ICO non è sicuramente il gioco che fa per voi.

Come detto ho completato il gioco in poco più di cinque ore, tuttavia la longevità varia soprattutto a seconda del tempo che impiegherete nel risolvere gli enigmi. Per coloro che adorano le sfide e le speedrun, su PlayStation 3 per la riedizione in HD sono stati inseriti due trofei legati alla longevità, “Express Journey” e “Castle Guide”, che rispettivamente chiedono di concludere il tutto entro quattro e due ore dallo start.

Dovendo avanzare una critica al gioco, punto il dito verso l’intelligenza artificiale che muove Yorda, la quale non sarà sempre “sveglia” nel seguire i nostri richiami, oltre al risultare impacciata in presenza di ostacoli lungo il suo cammino. Nulla di trascendentale in ogni caso.

Anche qui come per il finale, sempre escludendo il pubblico americano, una volta completato il gioco, si sbloccherà una modalità per due giocatori nella quale si potranno controllare contemporaneamente Ico e Yorda. Ritengo però vada a sminuire gran parte dell’essenza data da Ueda nel concept originale.

- Attendere il tramonto dalla torre più alta -

Già dalla cover del gioco (gli americani sono stati sfortunati in questo caso) capiamo che questo punterà al design delle strutture e alla loro imponenza, rispetto ai nostri protagonisti. Questa è stata disegnata direttamente da Ueda, influenzato dalla pittura e dallo stile del pittore italiano Giorgio de Chirico, in particolar modo dal quadro dei primi del ‘900 “La Nostalgia dell’Infinito”, attualmente esposto nel museo di arte moderna di New York.

ICO non è un mostro di grafica, questo compito verrà lasciato ad altri, ma a livello artistico non scherza. Più di una volta vi fermerete per muovere con tutta calma la telecamera, così da poter esplorare l’ambiente intorno a voi. Il tramonto è mozzafiato, goderselo con il rumore del vento o del mare in sottofondo è un’esperienza unica.

A un occhio meno attento la fortezza potrà sembrare ripetitiva, soprattutto per i colori monocromatici che la contraddistinguono, in totale contrasto con i vestiti sgargianti di Ico e del bianco candore di Yorda. Quello che lascia stupefatti è lo studio della geometria, il perfetto studio delle proporzioni e il come i nostri protagonisti andranno ad interagire con l’ambiente circostante, così da poter proseguire.

Il sonoro di ICO è piuttosto povero se andiamo a valutare le sole tracce musicali che compongono la OST, affidata a Michiru Oshima, Koichi Yamazaki e Mitsukuni Murayama. Gran parte dell’atmosfera è data dai silenzi, dallo scrosciare continuo delle onde del mare lungo le pareti rocciose dell’isola, il cinguettio degli uccelli seguito dalle folate di vento. Questo è ciò che compone il reparto sonoro del videogioco che mi ha soddisfatto, esplodendo poi nella bellissima “You Were There” nell’epilogo. Ecco, forse il finale ha saputo emozionarmi davvero.

Sul doppiaggio non voglio soffermarmi più di tanto: come detto Ico e Yorda non si capiranno mai, per via delle loro lingue differenti. Solo nel finale capiremo cosa vuole dirci, ma lì è voluto. Se poi volete sapere cosa dice effettivamente, senza dover ricorrere a ricerche online, iniziando una seconda partita i sottotitoli che prima erano incomprensibili questa volta saranno tradotti.

- Verdetto finale -

ICO non è un gioco per tutti: se cercate una storia che vi appassioni in modo esplicito, senza dover catturare segnali dall’ambiente circostanti, personaggi con background ben definiti e dialoghi ben scritti, puntate ad altro; stesso motivo se cercate un titolo impegnativo, fatto per macinare record su record. Se invece adorate guardarvi intorno, contemplare il design e la componente artistica dei luoghi messi sullo schermo, fermarvi per il puro gusto di ascoltare il suono dell’ambiente circostante, allora prendete in considerazione il prodotto di Fumito Ueda e del Team ICO.

Il gioco non comunica attraverso le parole, ma attraverso gesti semplici come il tenersi per mano, doversi prendere cura di qualcuno, immersi in un mondo a voi estraneo come un imponente fortezza fredda e vuota, atta a richiudervi per non darvi più la possibilità di osservare la luce del sole che illumina tutto ciò gli si para davanti. Questo è ICO, questo è il primo “esercizio di stile” offertoci da Fumito Ueda.

7.5

Voto assegnato da Nino_Ethan
Media utenti: 8.9

Nino_Ethan

ha scritto una recensione su Yakuza 2

Cover Yakuza 2 per PS2

Una storia matura e personaggi di spessore, uniti a una atmosfera unica, un protagonista di rilievo e una soundtrack memorabile hanno decretato un ottimo successo in patria e nel mondo per Yakuza (Ryu ga Gotoku in Giappone), tutti punti che sono stati ripresi dal seguito al momento del suo rilascio nel Sol Levante, il 7 dicembre 2006, quando PlayStation 3 si era appena affacciata nel mercato. Noi europei dovemo attendere due anni per il suo arrivo, avvenuto nel 19 settembre del 2008. Arduo è quindi il compito di Yakuza 2, con un primo capitolo di quel calibro era difficile fare meglio, ma a mio avviso SEGA si è superata sfornando un seguito superiore sotto molti se non tutti i punti di vista.

Hase Seishu torna a curare la sceneggiatura, superandosi, mentre la soundtrack è stata curata dal medesimo team del predecessore, raggiungendo lo stesso livello qualitativo. Yakuza 2 ha inoltre ricevuto una remastered insieme a Yakuza, in un pacchetto uscito solo in Giappone per PS3 e Wii U. SEGA si è di recente detta interessata a un remake, come il caso di Yakuza: Kiwami. Speriamo.

ATTENZIONE: potrebbero esserci anticipazioni sulla trama nel prossimo paragrafo, qualora non abbiate giocato il primo Yakuza.

- Un anno dalla spaccatura del Tojo Clan -

Il gioco si apre agli inizi degli anni ‘80, nel periodo natalizio (a SEGA piace particolarmente), quasi trent’anni prima lo svolgersi degli eventi principali. Veniamo a contatto con un detective inizialmente sconosciuto, intento a seguire un sospetto che lo porterà dritto nella scena del crimine di un caso che si ripercuoterà su Kazuma e compagni. Il sospettato in questione è Shintaro Fuma, padre adottivo dello stesso protagonista, autore insieme al resto del clan Dojima dell’annientamento di un intero gruppo appartenente alla mafia coreana. Sarà lo stesso Fuma a uccidere il boss coreano, mentre il detective salverà la moglie e il neonato del malavitoso, sotto richiesta di quest’ultimo prima di morire. La storia fa un grosso balzo in avanti, catapultandoci nel presente, un anno dopo gli eventi del primo capitolo che ha visto la spaccatura del Tojo Clan e la morte dei cari di Kazuma: Yumi, Nishikiyama e Fuma. Il clan è vicino a un violento scontro con la famiglia Omi (il gruppo alleato con Nishiki nel precedente capitolo), viene quindi chiamato Kazuma in aiuto, essendo stato per pochi istanti il quarto presidente dell’organizzazione. Questo ha lasciato il posto a Yukio Terada, precedentemente affiliato alla famiglia Omi che non ha visto di buon occhio questo tradimento, bersagliando il nuovo presidente nel cimitero dove Kazuma e Haruka erano intenti a porgere i loro omaggi ai morti.

Da qui sarà un crescendo di colpi di scena, impareremo a conoscere personaggi di spessore come Ryuji Goda, Kaoru Sayama (ancora non perdono l’averla tagliata dalla saga), assisteremo a flashback ben piazzati che faranno luce sui fatti accaduti nel periodo di tempo che c’è tra gli anni ‘80 e il 2006.

Ho adorato la sceneggiatura messa in campo da Seishu, la cura riposta nei personaggi e nella drammaticità di alcune scene che mi fanno classificare questo Yakuza 2 un gradino sopra al precedente, sotto questo punto di vista. Come il predecessore starebbe bene in una trasposizione sul grande schermo, senza nulla da invidiare ai blockbuster odierni. Il finale poi è un crescendo di emozioni che difficilmente si trovano nelle produzioni odierne, proprio grazie al talento di Seishu che purtroppo non tornerà poi per il terzo capitolo. Nota triste.

- Poter colpire alle spalle, bastava poco -

In Yakuza ho criticato un certo limite nel combat system, figo da vedersi su schermo, soprattutto nel vedere una macchina da guerra come Kazuma frantumare denti e ossa come se non ci fosse un domani, ma comunque limitato. Ebbene, con grande gioia e soddisfazione, SEGA ha inserito una sciocchezza che cambia totalmente le carte in tavola: il poter colpire gli avversari alle spalle. Sembrerà appunta un elemento da poco, ma chi ha giocato entrambi i titoli sa come cambi totalmente l’esperienza di gioco, senza dover far ruotare su se stesso il personaggio per colpire gli opponenti alle sue spalle. Good, promosso.

Il resto dell’esperienza di gioco rimane intatta, Yakuza 2 offre anch’esso al giocatore svariate attività e missioni secondarie, prendendosi una pausa dalle vicende principali. Questa volta però non ci muoveremo soltanto per le vie di Kamurocho, ma anche per le strade Sōtenbori e Shinseicho, corrispettivi dei reali distretti interni a Osaka, ovvero Dōtonbori e Shinsekai.

Tutti a divertirsi con le hostess, alla fin dei conti.

- Salutate il doppiaggio inglese, accogliete quello giapponese -

Come dice il titolo, a differenza del primo Yakuza 2, questo seguito abbandona completamente la produzione di un doppiaggio inglese anche per le copie occidentali. Fortunatamente direi. La localizzazione del doppiaggio in inglese venne fortemente criticata, soprattutto a causa dell’intonazione data in alcuni momenti che spezzava completamente l’atmosfera generale, riducendosi a battute tipiche di un anime e non a quelle di due yakuza che stanno per menarsi mortalmente.

Il doppiaggio giapponese si pone quindi diversi gradini sopra rispetto la controparte inglese, sposandosi perfettamente con la sceneggiatura di Seishu, andando a completarsi a vicenda.

Per quanto riguarda la soundtrack posso solo dirvi che non è mai fuori posto, i momenti spensierati si danno il cambio con i toni più pesanti e seri con naturalezza, senza spezzare l’equilibrio su schermo. Tuttavia qui non decreto un vincitore e uno sconfitto, ma anzi pongo sullo stesso piano quanto prodotto per Yakuza e Yakuza 2. Tranquillamente riproducibili anche all’infuori del contesto videoludico, consigliata qualora doveste venire alle mani in qualche vicolo poco illuminato.

A livello puramente tecnico ci troviamo anche qui sullo stesso livello del precedente capitolo, SEGA ha voluto fare il grande passo con Yakuza 3, uscito tre anni dopo inaugurando il passaggio della serie su PlayStation 3.

- Verdetto finale -

Eccoci quindi al verdetto che possiamo riassumere brevemente così: prendete tutto ciò che c’è di buono in Yakuza, miglioratelo, eccovi cucinato a puntino Yakuza 2. Una trama di alto livello, un combat system migliorato e personaggi memorabili sono un ottimo biglietto da visita per chi non avesse ancora giocato questo eccezionale videogioco. Peccato che al suo debutto il gioco vendette davvero poco in Occidente, ma questo discorso prenderebbe giorni interi, potendolo estendere a tanti altri titoli.

Quindi, fatevi un favore e recuperate Yakuza 2, attaccate la vostra PS2 al televisore e tornate a prendere i panni di Kazuma Kiryu, il Drago della famiglia Dojima.

Nino_Ethan

ha scritto una recensione su Yakuza

Cover Yakuza per PS2

È la prima volta che mi avvicino alla leggenda di Kazuma Kiryu, narrata all’interno della saga di Yakuza (Ryū ga Gotoku in Giappone). Un contatto a lungo atteso, ma al tempo stesso rimandato per un motivo o per l’altro. Ne sono sempre stato affascinato, tuttavia pad alla mano mi è bastato davvero poco per capire perché Yakuza è una saga tanto osannata dai fan: una storia matura ricca di colpi di scena che esplode letteralmente nel finale, personaggi carismatici a partire dallo stesso protagonista, una colonna sonora ricca e ispirata. In sostanza, non manca proprio nulla, per questo motivo andrebbe almeno provato se in casa avete una PlayStation 2.

Uscito nell’ormai lontano 8 dicembre del 2005, in Giappone, per opera di SEGA, Yakuza narra le vicende di Kazuma Kiryu, uno yakuza di rilievo all’interno del Dojima Clan, affiliato del Tojo Clan, che passerà dieci anni del sua vita in carcere a causa di alcuni fatti avvenuti nel 1995. Purtroppo non posso andare oltre perché significherebbe far spo.iler, c’è tanto da raccontare sulle vicende del titolo, ma proprio per questo è bene che scopriate voi il resto.
La sceneggiatura venne affidata allo scrittore giapponese Hase Seishu, chiamato da SEGA ben prima l’inizio dei lavori. Il taglio dato agli eventi è prettamente cinematografico, davvero ben scritti che potrebbero tranquillamente approdare al cinema o sul piccolo schermo così come sono, ed effettivamente due adattamenti live action uscirono nel 2006 e nel 2007: parliamo di Like a Dragon: Prologue e Like a Dragon. I personaggi di Kazuma e del detective Date li dobbiamo a Seishu, profondamente modificati a partire dagli spunti dati dal team di SEGA legato al gioco. In Yakuza non ci sarà tempo per annoiarsi, tutt’altro, sarà una continua volontà di andare avanti e rimanere affascinati dall’ennesimo colpo di scena messo in campo dallo scrittore, provando amore e odio verso personaggi molto sfaccettati e realistici con cui immedesimarsi.

Ma ludicamente parlando che cos’è Yakuza? Ebbene ci troviamo davanti a un sandbox ambientato nel quartiere giapponese di Kamurocho, corrispettivo ludico del quartiere a luci rosse di Kabukichō, posto all’interno di Shinjuku. Qui potremo muoverci liberamente, seguire le vicende della trama principale oppure imbatterci in una delle tante quest secondarie, alcune di esse intrecciate direttamente con gli eventi chiave del gioco. Tuttavia, se questo non dovesse bastare, allora ci saranno alcuni mini-giochi da poter affrontare, farsi compagnia con qualche bella signorina in uno dei tanti hostess club sparsi per la mappa di gioco, o, perché no, intrattenersi con qualche partita al gioco d’azzardo o, ancora, menare le mani con compensi in denaro annessi. Non rimarrete mai con le mani in mano, ci sarà sempre qualcosa con cui distrarsi, anche se ho trovate diverse missioni troppo identiche le une alle altre, motivo per cui dopo un po’ ho deciso di dedicarmi completamente alla storia principale. Altro punto a sfavore che voglio evidenziare è la telecamera nei combattimenti, non gestibile direttamente ma aggiustabile tramite il tasto “L2”. Modalità che può risultare scomoda, ed effettivamente lo è in quanto bastava davvero un piccolo accorgimento per migliorare il combat system, elemento che è stato introdotto con il seguito. Ma questa è un’altra storia.
Parlando dei combattimenti, che siano contro boss o contro il millesimo teppista da strapazzo (ne troverete uno dietro ogni angolo, tanto da risultare ossessivi con quei versi da gallina che fanno nel rincorrervi), si riducono a essere una sequenza di combo dei tasti quadrato e triangolo, aggiungendo il cerchio per prendere oggetti o avversari. Nulla di eccezionale quindi sotto questo punto di vista, ma fa il suo dovere e si sposa con il personaggio di Kazuma che andrà avanti a suon di cazzotti e ginocchiate nei denti. Gli scontri casuali, quelli legati alla storia e le quest secondarie serviranno inoltre per accumulare esperienza, la quale ci permetterà di potenziare alcuni attributi del personaggio tra cui la barra della vita, la barra della furia, e l’intero repertorio di mosse e sottomissioni che non fanno mai male.

Il 2005 è stato davvero un anno proficuo per i videogiocatori, uscivano infatti titoli come Resident Evil 4, God of War, Splinter Cell: Chaos Theory, Star Wars: Battlefront II, Shadow of the Colossus, Psychonauts, Spider-Man 2, Devil May Cry 3 e tanti tanti altri. Questo elenco per un semplice confronto tecnico dove Yakuza ne esce bene (i filmati in CGI, oggi, non benissimo), per arrivare a oggi dove rappresenta il fiore all’occhiello da questo punto di vista per le produzioni SEGA.
A livello artistico c’è poco da dire: il titolo diretto da Hiroyuki Sakamoto riesce a restituire uno spaccato (ovviamente romanzato) della malavita giapponese, regalandoci momenti davvero unici, personaggi indimenticabili, che rimarranno per sempre impressi nella memoria del giocatore.

Piccola nota per le edizioni uscite solo in Giappone: sto parlando ovviamente di Ryū ga Gotoku 1&2 HD edition uscita per PS3 e Wii U, la quale è una remastered dei primi due capitoli, ma soprattutto parlo di Ryū ga Gotoku: Kiwami, remake di questo primo capitolo uscito lo scorso 21 gennaio nel Sol Levante per PS3 e PS4, mosso dallo stesso engine di Yakuza 6… SEGA ma che aspetti a distribuirlo in Occidente? asd

In apertura ho parlato di “una colonna sonora ricca e ispirata”, la quale la dobbiamo a diversi artisti e compositori, arrivato al meraviglioso tema finale che è “Amazing Grace” di John Newton (testo sentito in svariati film e serie TV), cantato in inglese da Eri Kawai, cantante giapponese passata a miglior vita nel 2008. Gli amanti di Tales of la ricorderanno per la canzone “Almateria” in Tales of Symphonia, mentre gli amanti dell’animazione per la meravigliosa cover di “A Cruel Angel's Thesis”, brano preso direttamente da Evangelion. Tralasciando questo breve excursus sulla carriera di Kawai, la colonna sonora di Yakuza saprà sempre come fomentare il giocatore, regalandogli, assieme all’azione su schermo, momenti davvero memorabili. Consigliata anche per l’ascolto all’infuori del contesto ludico.

Se siete ancora qui, smettete di leggere (anche se ormai il pezzo è finito ahsisi) e correte a recuperare questo titolone la cui fama deve crescere, anche se SEGA ha fatto tutt’altro nel corso degli anni anziché potenziare la fan base, anche per paura di fallire in Occidente. Purtroppo non è difficile capire il perché: basta un semplice sguardo alle nostre classifiche settimanali…
“Una nuova leggenda è nata”.

9

Voto assegnato da Nino_Ethan
Media utenti: 8.7

Nino_Ethan

ha scritto una recensione su Rayman Origins

Cover Rayman Origins per PC

Mentre scrivo, sto già giocando (ovviamente) il seguito, tuttavia vorrei spendere alcune parole su Rayman Origins e sul perché tutti dovrebbero giocarlo. Partiamo dal presupposto che questo reboot, datato ormai novembre 2011, è un “sì” totale, nato dallo sforzo messo in campo da Ubisoft Montpellier con il supporto di Ubisoft Paris e Ubisoft Casablanca. Il progetto non poteva essere guidato da nessuno se non dallo stesso Michel Ancel, “papà” storico di Rayman, noto anche per l’ottimo “Beyond Good & Evil” (di cui vorrei parlare in un’altra occasione).

Con questo nuovo corso per “l’uomo melanzana” si torna alle origini in tutti i sensi, abbandonando l’estestica e il mondo in tre dimensioni introdotto già con Rayman 2: The Great Escape, uscito ormai diciassette anni fa (conteggiando le uscite su PC e Nintendo 64), per tornare ad abbracciare le due dimensioni. A muovere il tutto è il nuovo UbiArt Framework, engine grafico inaugurato proprio con Origins, dove quello che apparirà sullo schermo vi lascerà a bocca aperta. Rayman Origins è un inno a spensieratezza, ritmo e divertimento.

La storia di questo capitolo è molto semplice, vediamo se riesco a spiegarvela con un esempio: vi state godendo un pisolino, dopo una giornata faticosa, ma ecco che interviene il vicino con schiamazzi e rumori cacofonici che manda all’aria il vostro appuntamento con il cuscino. Ecco, Rayman e co. sono quel simpaticone del vicino, andando ad attirare su di sé l’ira di tutti gli abitanti poco di buono della foresta, incubi inclusi. Parte quindi una epopea lungo svariati livelli coloratissimi con una OST che molto spesso prenderà la parte del protagonista. Il nostro scopo sarà quello di raccogliere più Electoon possibile in ogni scenario, arrivando all’epilogo con meno di una decina di ore alle spalle. Se invece si vorrà completare tutto al 100% e superare i propri tempi (amanti delle speed run fatevi avanti), allora si potrebbe arrivare tranquillamente alla ventina di ore di gioco. Niente male. Che vogliate affrontarlo con spensieratezza o completarlo in ogni suo punto, Rayman Origins è un platform 2D che dovrebbero giocare tutti, amanti o meno del genere, rappresentando uno schiaffo morale a tutti quelli che ancora oggi ripetono le solite frasi sul come non ci siano più i “bei platform”.

A livello estetico c’è poco da fare: Origins è un’esplosione di colori caldi, freddi, mescolati per creare sfumature uniche che vanno a prendere vita nei livelli di gioco, che siano questi d’ispirazione messicana (cosa che ritroveremo nel seguito), le profondità dell’oceano, ravvivate da numerosissimi pesci e creature acquatiche di mille tonalità, o le vette montuose più elevate.
Lo stile caricaturale ed eccessivo di alcuni personaggi strapperà più di una risata, soprattutto quando vi imbatterete nei boss del titolo. Piccola nota per gli amanti dell’originale: ritroverete buona parte del cast originale, così da aggiungere quel tocco di nostalgia che non guasta mai.

A curare la colonna sonora troviamo invece Christophe Héral, il quale già collaborò insieme ad Ancel, andando a comporre i brani che troviamo in Beyond Good & Evil. Il ritmo in Rayman Origins occupa una buona parte dell’esperienza di gioco, ci sono interi livelli che si basano su questo, i quali vanno a tempo con le nostre azioni in-game: troviamo sezioni di gioco che vanno completate in un’unica sequenza, la colonna sonora sarà di grande aiuto in questo.

In definitiva Rayman Origins rappresenta un ottimo rilancio per la serie Ubisoft, Ancel e il suo staff sono stati impeccabili in questo titolo, regalandoci una piccola perla che va assolutamente giocata dagli amanti del genere e che consiglio vivamente anche a chi di platform non se ne intende, o preferisce semplicemente altro. Un gameplay semplice e immediato ma perfetto per la tipologia di gioco, una comparto artistico di prim’ordine e una colonna sonora da ascoltare più e più volte, fanno di questo Rayman Origins un titolo da avere nella propria collezione, soprattutto oggi dove ormai si trova per pochi euro.

9

Voto assegnato da Nino_Ethan
Media utenti: 8.8 · Recensioni della critica: 8.7

Non ci sono interventi da mostrare 😔