Il multiplayer di Death Stranding ha cambiato le regole del gioco - editoriale
Quando ho preso in mano il pad e avviato Death Stranding per la prima volta, la componente che meno m'interessava era senza alcun dubbio il Social Strand System, quel comparto multigiocatore asincrono che pensavo avrebbe potuto rovinare la spettrale solitudine dell'esperienza. In un mondo tanto ostile, ero convinto che poter contare sull'aiuto di qualche estraneo per uscire da una situazione complicata avrebbe rappresentato una macchia indelebile sul mio curriculum, un po' come quando si scopre un'area segreta nei titoli di From Software grazie unicamente al messaggio di un altro giocatore.
Così, mi sono posto un obiettivo infantile: riconnettere gli Stati Uniti prima di chiunque altro, spingendomi verso ovest con la determinazione del pioniere che non vede l'ora di assaporare terre sconosciute, prendendo le distanze da qualsiasi forma di civiltà al fine di vivere da protagonista la seconda scoperta dell'America.
Che errore madornale è stato. A metà del percorso, il povero Sam Porter Bridges urlava nel silenzio, chiamando aiuto senza poterne assolutamente ricevere dai colleghi. Niente ponti, niente scale, niente chiodi da arrampicata. I veicoli a secco restavano inerti in mezzo ai campi, come eterni monumenti a testimonianza dei fallimenti. Ogni montagna era un ostacolo insormontabile, ogni fiume una potenziale condanna, ogni temporale una disgrazia.
