Star Wars: L'ascesa di Skywalker - recensione
Chissà quali bedtime stories leggeva la mamma al suo piccolo George, su quali libri e film si è formato il suo immaginario In parte ce lo ha confidato, raccontando di suggestioni che spaziano da Kurosawa ad Asimov e Harry Harrison e poi Alex Raymond, Edgar Burroughs e non ultimo lo studioso di mitologia Joseph Campbell. Quello che è certo che lo ha messo a buon frutto, perché dopo qualche esperimento in diverse direzioni (L'uomo che fuggì dal futuro, American Graffiti), si è immerso nella creazione della sua vita, una Galassia lontana lontana nella quale non abbiamo smesso di viaggiare dal 1977, lungo rotte percorse in meno di 12 parsec.
Abbiamo avuto tre film indimenticabili, tre prequel non indispensabili, due sequel altalenanti, più due spin off (e vari altri prodotti fra cui The Clone Wars, un film e una serie in animazione, oltre altre serie come Rebels, Forces of Destiny, Resistence, e in questi giorni ci stiamo intrattenendo assai piacevolmente con The Mandalorian). E poi romanzi, fumetti e videogames e uno sterminato merchandising e un cosplay conseguente. Di questo vasto Universo, adorato, copiato, parodiato, potremmo essere arrivati al termine, con quello che ci viene presentato come l'ultimo capitolo di una saga che ci ha regalato personaggi che abbiamo adorato, altri che avremmo volentieri cannoneggiato da un caccia stellare Ala X.
Il film Star Wars: L'ascesa di Skywalker, nono capitolo nuovamente diretto da J.J. Abrams, dopo Il risveglio della Forza, su una sceneggiatura scritta da lui stesso insieme a Chris Terrio (Argo, Batman v Superman), subentrati a Colin Trevorrow e Derek Connolly per misurarsi con un problema che era sembrato quasi insormontabile: la morte di Carrie Fischer, nel 2016, personaggio su cui questo capitolo avrebbe dovuto fondarsi. Già ripresa digitalmente in alcune scene di Rogue One, qui si garantisce presente solo in scene dal vivo prese da avanzi di lavorazione e non ricreata al computer.
