Lavorare giocando
Stavo leggendo il saggio Su alcuni motivi di Baudelaire, in cui Walter Benjamin parla, appunto, di Baudelaire sotto vari aspetti. C'è un passaggio che parla della somiglianza fra il lavoro e il gioco d'azzardo che mi ha colpito molto e mi ha fatto pensare a molti giochi recenti che ho provato. È lunghetto per essere il post di un social, ma equivale a circa metà pagina di un libro. Fa così:
W. Benjamin, "Su alcuni motivi di Baudelaire", in (a cura di) A. Pinotti, A. Somaini, "Aura e choc: Saggi sulla teoria dei media", Torino, Einaudi, 2012, p. 185Dove trovare un'antitesi più netta di quella che passa fra il lavoro e l'azzardo? Come scrive Alain con grande chiarezza: «Il concetto [...] di gioco [...] consiste [...] nel fatto che la partita successiva non dipende dalla precedente [...]. Non tiene conto dei meriti acquistati in precedenza; e in ciò si distingue dal lavoro. Il gioco fa tabula rasa [...] del passato pesante su cui si fonda il lavoro». Il lavoro che Alain ha in mente qui è il lavoro altamente differenziato (che, come quello intellettuale, può ritenere certi elementi del mestiere); non è quello della maggior parte degli operai di fabbrica, e meno che mai di quelli non specializzati. A quest'ultimo manca, è vero, l'elemento avventuroso, la fata morgana che seduce il giocatore. Ma non gli manca affatto la vanità, il vuoto, il fatto di non poter finire, che è anzi inerente all'attività dell'operaio salariato. Anche il suo gesto, determinato dal processo automatico del lavoro, si ripresenta nel gioco, che non avviene senza il piglio rapido di chi mette la posta o prende la carta. Allo scatto nel movimento della macchina corrisponde il coup del gioco d'azzardo. L'intervento dell'operaio sulla macchina è senza rapporto col precedente proprio perché ne costituisce l'esatta ripetizione. Ogni intervento sulla macchina è altrettanto ermeticamente separato da quello che lo ha preceduto quanto un coup della partita d'azzardo dal coup immediatamente precedente; e la schiavitù del salariato fa, in qualche modo, pendant a quella del giocatore. Il lavoro dell'uno e dell'altro è egualmente libero da ogni contenuto.
Prima pensavo che questo modus operandi fosse appannaggio dei videogiochi competitivi, tipo, boh, Overwatch, CoD, eccetera, ma ultimamente ho cambiato idea. Penso che il motivo principale per cui tendiamo a percepire alcuni giochi come dei "lavori" sia collegato alla presenza di una serie di obiettivi da raggiungere nel Battle Pass. Faccio questa sfida perché voglio sbloccare questo elemento - e non perché è divertente - e se non lo faccio la Stagione finisce e non potrò avere mai più quella skin. Questo problema, a mio avviso, è ormai ampiamente presente anche nei giochi single player, quelli con le missioni tutte uguali in cui l'utente è guidato dalla ricompensa. E, d'altro canto, il gioco online di vent'anni fa non era così. Pensiamo al modo molto più contenuto in cui venivano aggiornati i giochi sui primi del 2000. Un'espansione, massimo due, e il gioco era già pronto. Non era un cantiere in continua evoluzione, si giocava per divertirsi, anche se le mappe erano le stesse e non c'erano nuove skin da sbloccare. E quindi era un divertimento per il divertimento, non un lavoro. Riprendendo Benjamin, il lavoro del giocatore di oggi è spesso "libero da ogni contenuto". Ma ciò che nobilita il videogioco rispetto al gioco d'azzardo è proprio la presenza di contenuti al suo interno, cioè l'istinto dell'autore o degli autori di raccontare una storia. Una storia che è finita in sé, e che non può essere ripetuta un'altra volta. Resta un evento unico e non assimilabile né al gioco d'azzardo, né al lavoro in fabbrica. Più affine al romanzo e al cinema che al gioco, anche se oggi si parla spesso di "contenuti" riferendosi proprio alle azioni da ripetere ad oltranza senza che vi sia alcun nesso fra loro. Il "contenuto", per i giocatori e - ahimè - anche per la critica che ha il compito di educare i giocatori, non è altro che l'esperienza ripetibile. Ciò che non si può ripetere e che resta unico perde sempre più spesso di valore. I due giochi che mi sono piaciuti di più quest'anno non possono essere valutati secondo parametri quantitativi, ma soltanto qualitativi. Parlo di The Gunk e - dio me ne scampi - Hellblade 2.
Sono entrambi giochi brevi, in cui la narrazione è centrale e in cui la ripetizione delle azioni non è slegata dal passato, ma è invece in contatto diretto con esso. Aspirare la melma in The Gunk in modi sempre diversi, o combinare insieme tutti i simboli che Senua impara a decifrare in Hellblade 2 sono azioni che implicano un miglioramento del giocatore anche a livello di contenuti e non sono una ripetizione fine a sé stessa. Hellblade 2, in questo, è ancora più radicale, perché ti fa giocare soltanto quando il gioco ha un senso nella sua narrazione. Entrambi i giochi terminano quando il loro contenuto narrativo era stato espresso fino alla fine. Il gioco e il contenuto vanno di pari passo.
Non così in altre opere che pure ho trovato molto divertenti ma che sentono la necessità di offrire sempre di più, perché il giocatore deve lavorare e perdersi nel meccanismo della ripetizione. Diablo IV soffre molto di questo problema. La narrazione inserisce missioni completamente slegate fra loro (mentre i capitoli precedenti facevano un lavoro eccellente in questo senso), e, nonostante la presenza di un sistema di progressione molto ben fatto, si ha la sensazione che ogni combattimento sia slegato dal precedente. Diablo IV - ma non è niente di nuovo per questa tipologia di giochi - è come il gioco d'azzardo, o come lavorare in fabbrica.
Altri open world mi hanno dato la stessa sensazione. Gli ultimi Assassin's Creed che ho giocato, oppure Horizon Zero Dawn. Col tempo ho del tutto abbandonato i mondi aperti di questo tipo, quelli progettati con i segnalini e gli obiettivi aziendali da raggiungere.
Non penso che sia un caso che, proprio in questo periodo, i giochi che parlano del lavoro in maniera esplicita e che vedono il lavoro come unico punto d'ingresso nella realtà siano aumentati drasticamente. Alcuni esempi: Hi-Fi Rush, Starfield, Citizen Sleeper, lo stesso The Gunk, Kosmokrats, Hypnospace Outlaw, e sono sicuro che se ne potrebbero citare tanti altri - come i tanti simulatori di "qualcosa" che si possono trovare su Steam o sul Gamepass, oppure gli episodi di Coffee Talk, dove, però, il lavoro viene affrontato da un punto di vista tangenziale. Oppure, in termini più irriverenti, gli ultimi Yakuza. Si tratta di opere in cui lo scopo ultimo è quello di fuggire dalla monotonia del lavoro incasellando le azioni in una linea temporale progressiva, in cui ogni singolo momento è legato a quello precedente. Questo sia in termini narrativi, che ludici.
Se gli autori di videogiochi sentono la necessità di parlare spesso del lavoro all'interno delle proprie opere è, probabilmente, perché lavorare nel settore dei videogiochi attuale non è facile. Ma è anche perché, per avvicinare il videogioco ad un dibattito serio con il mondo intellettuale, il lavoro è la via più facile, visto che rappresenta uno dei più grandi problemi della società globalizzata. E anche perché, mi sembra, sempre più giochi sono strutturati come un lavoro - e questo va bene sia alla critica che ai consumatori.
Mi torna in mente un passaggio di Hellblade 2: Senua svolta un angolo e si ritrova davanti un paesaggio da sogno. Una delle voci nella sua testa dice: "Non è forse questa una ricompensa?".

DovahSkin
Interessante. Gioco d'azzardo però. Il gaming e il lavoro hanno una differenza sostanziale: uno vuoi farlo e l'altro no.
DovahSkin
@Trobar clus Molti non posso provarli e giudicarli perché non ho una situazione hardware adatta, ma in futuro conto di farmi un nuovo pc e recuperare qualche lacuna. Di online ho giocato Fallout 76 che mi è piaciuto, ma che mi ha confermato che non sono fatto per gli online, soprattutto per quelli con abbonamenti e microtransazioni che manco gli abbonamenti.
Trobar clus
@DovahSkin io ormai sono per le esperienze cooperative. Barony è un gioco che quest'anno finirà sicuramente in top 10. Ma non è un gioco come servizio e sicuramente non è un lavoro 🤣
DovahSkin
@Trobar clus I miei preferiti sono Bethesda o Obsidian che siamo lì, ma ormai vi sarete rotti le palle a sentirmelo dire. Lo so, sono un fanatico di quelle software house, ma la verità è che di videogiochi come i TES e i FO non ne ho mai giocati. La prima volta che vidi su schermo New Vegas iniziò la mia infanzia videoludica. E si parla delle medie.
Trobar clus
Comunque secondo me i giochi che più si avvicinano a questa cosa sono, ovviamente, i gacha
DovahSkin
Che possono essere più o meno aggressivi, a volte supportati dalle solite microtransazioni. Origins lo diventa ed è un Assassin's Creed. 'Sta roba degli spacchettamenti non mi ha mai convinto.
Steto96
Io che lavoro per non giocare 🌚
Trobar clus
Ho ricominciato a giocare Final Fantasy XIV
Steto96
@Trobar clus gioco che anche se avessi il tempo per giocare avrei paura a iniziare