Non sono mai stato né atletico né amante del moto. Da piccolo ho praticato per brevissimo tempo un po' tutti gli sport, dal calcio al tennis, fino ad approdare al Judo, portato avanti per anni forse un pochino per inerzia anche se con il senno di poi ho capito quanto facesse bene al corpo. Se c'è una cosa che ho sempre disprezzato è il trekking dai tempi del campeggio della parrocchia che mi costringeva a stare per due settimane con gente che non avevo in simpatia, svegliandomi sempre prestissimo per camminare tutta una giornata in Val Varaita. Così quando la mia ragazza, appassionata di viaggi, mi ha chiesto di iniziare con lei a fare trekking le ho detto subito di no. Un no un po' finto perché comunque per lei farei di tutto e quindi a Ferragosto 2024 abbiamo affrontato il giro dei laghi al Pian del Re, alla sorgente del Po. È stato estenuante, per una settimana ho avuto le gambe rigide come ciocchi di legno e durante la scalata ho avuto rimembranze quasi proustiane delle mie escursioni con il campeggio della parrocchia, forse più che proustiane erano memorie adiacenti al PTSD. Non ci siamo fermati lì, anzi abbiamo anche fatto una lunga vacanza in camper lungo le Dolomiti, all'inizio di luglio. Sempre in qualche modo un po' controvoglia, temendo la fine che avrei potuto fare dopo una settimana di sole escursioni giornaliere su metà dei percorsi delle Dolomiti settentrionali. In quei momenti pensavo a Death Stranding, a casa mi aspettava il secondo capitolo appena uscito, ci pensavo un po' con una sorta di rimorso, di senso di consapevolezza, pensando di essermi in qualche modo rovinato l'esperienza della vita quella vera che succede fuori dagli schermi. In realtà le cose possono coesistere, anzi devono. L'arte parla alla vita e la vita parla all'arte. In questa settimana ho letto Forget me Not, il nuovo fumetto di Loputyn, che parla (anche) di scalare la montagna (non solo in senso metaforico, l'idea di iniziare a fare trekking è arrivata proprio seguendo i viaggi dell'autrice tra i paesaggi montuosi italiani). A Lucca un giorno le ho detto che a causa sua mi ero scalato mezze Dolomiti. Il giorno dopo, a lettura ultimata, la ringraziavo per avermi dato inconsapevolmente il modo di arricchire quella lettura. Ora mi trovo a scalare montagne in Ghost of Yotei e pensare che la ricompensa più bella non siano i talismani in fondo, ma il senso di aver conquistato lo spazio, di aver ricevuto in premio la vista che si para davanti ai miei occhi alla fine. Il videogioco non è arte perché non riusciamo a capire quanto sia legato alla vita. Domenica mi trovavo sul red carpet del Death Stranding 2 World Tour a Lucca, schiacciato contro le barricate da persone che avrebbero fatto di tutto per una firma. Accanto a me un ragazzo che ha subito chiarito che non mi avrebbe prestato il pennarello per farmi firmare qualcosa da Kojima & co. Io a quel ragazzo forse avevo consegnato parte della mia attrezzatura in Death Stranding, senza ricevere nulla in cambio. Lui forse aveva consegnato per me alcuni pacchi dispersi. Nella vita di tutti i giorni non siamo capaci di aiutarci con un pennarello prima di entrare a teatro per celebrare l'arte e dire che quella è arte perché arriva lì, su un palco.