Destiny 2: La Maledizione di Osiride – Recensione in corso
Che l'endgame di Destiny 2 non abbia retto proprio benissimo all'impatto inesorabile del tempo è cosa nota a tutti da ormai un mese e mezzo. Dopo poche settimane dalla loro apertura, i server hanno cominciato a svuotarsi in maniera allarmante, complice un sistema che cedeva ad una progressione troppo rapida sul medio-lungo periodo e non ritrovava neanche lontanamente gli stessi equilibri del primo capitolo, equilibri ai quali la community era ormai abituata.
Noi stessi abbiamo subodorato i problemi che il gioco si sarebbe trovato a dover affrontare, eppure mentiremmo se vi dicessimo che non ci è piaciuto: anzi, in fase di recensione (peraltro scritta a pochi giorni dall'inizio del “declino”) abbiamo voluto premiarlo per le sue qualità intrinseche e per un periodo di lancio denso di contenuti, scegliendo di non vedere il bicchiere mezzo vuoto. Di lì a poco, però, il bicchiere – che era più una tazzina da caffè, in realtà – si è vuotato quasi del tutto. La Maledizione di Osiride, prima delle due mini espansioni annunciate per l'Anno 1, giunge dunque provvidenziale per cercare di rimettere in carreggiata l'esperienza da shooter MMO proposta da Bungie: ci sarà riuscita?
LA MALEDIZIONE DI OSIRIDE
E' bene mettere subito le cose in chiaro: pur lasciandosi giocare, a tratti anche piacevolmente, la storia non è certo il punto forte del pacchetto; strutturate intorno al pianeta Mercurio e alla figura di Osiride, il misterioso mentore di Ikora Rey, le missioni che la compongono si completano in poco più di due ore (anche meno se si sceglie di ignorare i nemici quando possibile), rivelandosi perlopiù semplici, banalotte e ripetitive, senza la verve che aveva caratterizzato la seconda parte della campagna principale.
La storia è piuttosto “meh”
E dire che i presupposti per realizzare qualcosa di davvero interessante c'erano tutti: il vecchio stregone esiliato è una delle figure più interessanti ed emblematiche della lore di Destiny, ma il suo carisma viene confinato in pochi dialoghi, imbrigliato dalle catene di un incedere sempre in bilico fra il disvelamento di importanti segreti e la volontà di mantenere impliciti molti dettagli. Diverse volte, durante le scorribande contro la Legione Rossa, si riusciva a passare sopra a superficialità simili grazie ad una componente ludica e visiva imponente, che metteva i giocatori di fronte a panorami splendidi e variegati, in contesti convincenti e ben strutturati. Nell'espansione la musica cambia: l'incedere è scandito da un frustrante andirivieni dentro e fuori la tanto decantata Foresta Infinita, una sorta di “spazio sospeso” costruito assemblando una sequela di piattaforme ben poco differenziate fra loro, che fungono da porte temporali fra tre diverse epoche. Quest'idea, collegata sia alla storia che alle avventure, finisce per adattarsi molto meglio alle seconde, specie a difficoltà eroica: se in questo caso bisogna preoccuparsi soltanto di portare a casa la pelle, durante la storia è lecito aspettarsi un po' più di varietà che quattro salti fra un mini boss e l'altro.
Quando non ci si trova nella Foresta, poi, a deludere è anche il riciclo di alcune vecchie ambientazioni, come il Pyramidion (location di per sé magnifica), in un paio di sequenze inserite in maniera posticcia all'interno della narrazione e che potevano essere assolutamente evitate, a costo di accorciare e condensare ancor più l'esperienza. Il paradosso a livello visivo sta nel fatto che, monotonia della Foresta Infinita a parte, La Maledizione di Osiride è un'espansione splendida: Mercurio è a dir poco magnifico, bruciato dal sole e con un'estetica e una mitologia (Faro incluso) tutte sue. Anche le versioni alternative del pianeta, quella passata e “primordiale” e quella futura, dominata dai vex, sono altrettanto interessanti: la prima, in particolare, ci ha lasciato senza fiato per la sua bellezza arcaica e incontaminata. Fra l'altro, proprio qui è ambientato il nuovo story strike, piuttosto convincente nelle meccaniche ed “estratto” da una lunga missione, resa parecchio più difficile: ci sentiamo di approvare al 100% questa scelta, sensata e ben ponderata.
SI TORNA A FARMARE!
Una volta concluse – per ora, almeno – vicende che ormai appassionano quasi soltanto i patiti della lore, ci si riallaccia finalmente all'endgame, giunto a dicembre in uno stato che non esitiamo a definire quasi pietoso. Da questo punto di vista il DLC “ce la fa”, almeno momentaneamente: le avventure eroiche nella Foresta Infinita, inserite su base giornaliera, gli assalti eroici e i decori per le armature – ottenibili completando determinate sfide – sono elementi che riescono a tamponare una delle più gravi mancanze di Destiny 2, ossia la sostanziale infruttuosità nel continuo ripetere attività come gli assalti, le partite nel Crogiolo, le avventure o gli eventi pubblici. Ci sarebbe piaciuto rivedere già da adesso le Imprese, vere e proprie quest introdotte per la prima volta nel primo Destiny con Il Re dei Corrotti e per ora goffamente scimmiottate dalle pietre miliari, ma evidentemente è ancora troppo presto per un passo così lungo. Per il momento accontentiamoci: certo è che, ora come ora, la struttura dell'endgame ha molte più probabilità di reggere fino a febbraio/marzo e alla seconda espansione di quante il gioco base ne abbia di risultare ancora appetibile per chi continua a divertirsi senza DLC.
L'endgame ce la fa, malgrado tutto
Su Mercurio le attività disponibili non si fermano alle avventure eroiche: c'è anche un nuovo evento pubblico, congegnato con grande furbizia intorno alla collaborazione fra due o più Guardiani nella zona centrale della (piccola) mappa del pianeta. All'interno del Faro, ora visitabile liberamente come area social, si trova la Forgia: un marchingegno che permette di ottenere dodici armi esclusive, obbligandovi però a sputare sangue (e numerosissime ore di gioco) prima di raccogliere i materiali necessari a craftarle tutte. Il tutto è gestito da fratello Vance (che i veterani di lungo corso conoscono già come responsabile delle defunte Prove di Osiride) e, incredibile a dirsi, funziona. L'intera community di Destiny sentiva l'impellente bisogno di un motivo per tornare in massa a ripopolarne i server. Il motivo, pur poggiando su basi ancora lontane dalla perfezione, è stato dato: per molti, tanto basta.
Prima delle conclusioni e del verdetto finale è d'obbligo spendere alcune parole sul fiore all'occhiello dell'endgame, il Leviatano Divora-Mondi. Più corto del precedente Leviathan, questo raid lair è concepito per offrire un'esperienza più classica, che guidi i giocatori dal “punto A” al “punto B” attraverso veri e propri step più che una serie di sfide. Nel complesso il livello di sfida è più che degno e le meccaniche di squadra sono ben congegnate, specie nella battaglia finale; oltre a ciò l'incursione, ambientata nelle profondità della pancia del Leviatano, si differenzia in maniera adeguata dalla precedente anche dal punto di vista estetico. Una piccola rivincita anche sotto questo fronte, insomma, che farà la gioia di chi era rimasto deluso dal primo raid. In questo caso, però, non possiamo fare paragoni con le incursioni del primo Destiny: Bungie sembra infatti aver scelto una filosofia differente, inserendo due raid di minor lunghezza nelle espansioni “intermedie” e pianificando un cambio radicale per il cosiddetto Comet update di fine anno. Il tempo le darà ragione? È presto per dirlo.
Nota a margine: la recensione sarà aggiornata (con il voto e alcune considerazioni/ritocchi alla parte conclusiva) dopo aver analizzato approfonditamente i contenuti della patch di oggi (martedì 12 dicembre). Per ora le nostre sensazioni sono globalmente positive, anche se l'idea di fondo è che il DLC riesca a risaltare forse anche più del dovuto per via di un endgame “base” che, ammettiamolo pure, non era esattamente eccezionale.
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