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I videogiochi e le visioni di morte da cui è impossibile distogliere lo sguardo - editoriale

La morte è un dato di fatto e questo è doppiamente vero per i videogiochi: quando la morte arriva, di solito lo fa in massa. Chi di noi può affermare, ad un certo punto della propria carriera da videogiocatore, di non aver vagato su pianure cosparse di cadaveri o aver attraversato fiumi di sangue disseminati di resti umani galleggianti? Se vogliamo credere a ciò che accade nei videogiochi, allora i cadaveri sono più socievoli dei vivi. Si affollano in macabri luoghi di esecuzioni, torture e massacri, si impiccano con dei cappi, si impalano, si scorticano, si contorcono o si fanno a pezzi, lasciandoci a bocca aperta a rabbrividire.



È da molto tempo che i giochi utilizzano un'estetica fondata sulla forte cruenza, che risulta estrema anche rispetto agli standard dei film horror o delle copertine dei dischi heavy metal. Che si tratti di horror o storici, fantasy o fantascientifici, il tema della morte ha invaso molti dei generi più importanti di videogiochi. L'oscuro e tetro stile fumettistico di Doom, con i suoi grotteschi e colorati corpi ridotti a brandelli da invasori demoniaci o Bloodborne con le sue catastrofiche visioni di corpi umani pietrificati, dissolti, riconfigurati, o ancora Hellblade, con un orrore che, con intento psicologico, vuole rappresentare l'età oscura di un periodo storico dominato dalla barbarie.



Questo è soltanto un piccolo esempio di giochi che si divertono a trasgredire i tabù sulla morte, la sofferenza e il corpo umano. Nonostante le intenzioni e i toni estremamente diversi e l'enorme abisso che intercorre tra la rapidità scanzonata di Doom e la nobile serietà di Hellblade, tutti condividono un profondo fascino innescato da panorami quasi apocalittici e profondamente segnati da pestilenza, putrefazione e morte.

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6 gennaio 2019 alle 11:10

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