Peregrin - recensione
Guardare al mondo indie come alla terra promessa per tutti coloro che non si ritrovano nell'essenza dei vari progetti AAA è indubbiamente una moda di questi anni. Considerare questa parte dell'industria videoludica come la risposta perfetta sarebbe decisamente troppo semplicistico e miope. Gli indie hanno sicuramente più possibilità di sperimentare e osare ma non si può ignorare la sensazione che anche questa categoria si stia lentamente appiattendo e conformando in certi generi e certe meccaniche di gioco.
Ci sono vari filoni che stanno dominando anche là dove solo la creatività dovrebbe farla da padrone e destreggiarsi in un oceano di titoli che puntualmente bagna le coste di Steam è un problema non da poco. Quando ci siamo trovati di fronte a Peregrin le domande che affollavano la nostra mentre erano parecchie. Al di là di alcune immagini piuttosto ispirate, l'ultimo lavoro dei ragazzi di Domino Digital (Calvino Noir, Morphopolis) rimaneva un piccolo mistero, anche se la visuale dall'alto poteva effettivamente rivelare qualche indizio sulla natura della produzione.
Peregrin, tuttavia, ci ha saputo stupire in certe fasi, grazie a un concept piuttosto curioso e a un setting che non ci saremmo aspettati. Disponibile su Steam da alcuni giorni, ci siamo imbattuti in uno strano puzzle-game con una manciata di combattimenti e una certa enfasi sulla narrazione, su un mondo fantastico ma a conti fatti non così lontano dal nostro, soprattutto per il modo in cui viene rappresentata l'umanità.
