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La dolce trappola del Game as a Service - editoriale

Anzitutto, è bene fare una piccola premessa. Molto spesso siamo portati ad indicare come Games as a Service esperienze molto diverse tra loro, dal Live Game al cosiddetto Lifestyle Game, dai titoli free-to-play fino alle opere episodiche. Analisi di mercato risalenti addirittura a una decina di anni fa indicavano come "Game as a Service" tutte le release accompagnate da una Season Pass o comunque supportate attraverso iniezioni di contenuti su base stagionale, monetizzate attraverso microtransazioni e servizi in abbonamento.



La filosofia economica del Game as a Service, dunque, non è altro che una macro-categoria della quale fanno parte le scelte di design alla base di tutte le formule Live Game su console, non necessariamente MMO, ma comunque parte dell'eredità spirituale "Warcraftiana" o, se vogliamo andare ancora più indietro, vicine ai mondi di Ultima Online e Runescape.



Destiny, Warframe, The Division, Sea of Thieves, Fallout 76 e l'imminente Anthem. La storia degli ultimi cinque anni è costellata di prodotti costruiti su una pietra angolare ben precisa: dare vita a mondi in costante evoluzione e mutamento, nel tentativo di fidelizzare le community il più a lungo possibile e rimanere in vetta alle classifiche di consumo, ritagliandosi un posto in pianta stabile tra i feed dei creatori di contenuti e conquistandosi uno spazio nel cuore della cultura pop.

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9 dicembre 2018 alle 13:20