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Covenant of Solitude – Recensione Speedrun

Il mercato degli RPG è sempre stato ricchissimo di titoli che hanno saputo costruire la fama di giochi profondi, ricchi, ben realizzati e complessi al punto da quasi diventare un must verso cui virare anche per produzioni che non erano originariamente nate sotto questa stella. C'è anche il rovescio della medaglia però, titoli realizzati volutamente senza cercare l'innovazione, il colpo da maestro e il capolavoro, ma pensati per raccontare una storia attraverso le meccaniche basilari del genere. È questo il caso di Covenant of Solitude, sviluppato da Magitec, che vedremo in questa recensione Speedrun.



La guerra in casa



La trama di Covenant of Solitude non spicca per originalità. Il nostro personaggio principale è Fort, un “genie” non in quanto tale ma in quanto portatore di un potere nascosto dentro sé. Quando il suo villaggio, Listy, viene attaccato, il potere latente nella sua anima viene riattivato e da lì viene imbarcato nella missione di salvare il mondo grazie alle sue potenti caratteristiche. Sul percorso ci saranno compagni, nemici e alleati, alcuni con caratteristiche ben definite e altri molto più ambigui, come il suo amico d'infanzia Legna.



Uno dei motivi principali per cui la vicenda prende inizio è anche la tragedia che colpisce l'altra amica d'infanzia di Fort, ovvero Elicia, fomentando la vendetta e la voglia di giustizia in seno a Fort. Le dinamiche relazionali faranno parte dell'ossatura del gioco, portandole a svilupparsi, evolversi e mutare man mano che procederemo nella storia. Come accennato in apertura, niente di rivoluzionario, anzi. I cliché tipici degli RPG sono ben noti, e qui ce ne sono in numerosa quantità. Nonostante tutto, le vicende emotive interlacciate tra i vari personaggi riescono a dare un minimo di profondità in più al gioco, non limitandolo a un banale “bene contro male”.



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Poche luci e molte ombre



L'impianto videoludico è vecchio di almeno 25 anni e nonostante l'operazione nostalgia, potremmo definirlo quantomeno stantio, con tutti i limiti del caso. Infatti il gioco è sviluppato come su un hardware PlayStation 1 o console similari dell'epoca, se non addirittura il Gameboy. A causa di questo, tutto è profondamente limitato, a partire dai combattimenti a turni, passando per l'aspetto estetico senza tralasciare il comparto doppiaggio (assente) e quello sonoro (di qualità opinabile).



I combattimenti permettono di allearsi con quattro fazioni di esseri del mondo di gioco, evocando Draghi, Bestie, Fate e Vampir. Queste, inserite nel party di gioco, permettono di influenzare in maniera positiva o negativa l'andamento delle lotte che saranno presenti ne prosieguo della trama. Le caratteristiche generali degli RPG sono classicamente inserite, quindi avremo i dungeon labirintici, gli incontri casuali con i nemici, tesori da raccogliere e insediamenti in cui recuperare informazioni e risorse. Il combattimento è il core del gioco ed è realizzato bene, ma alla lunga diventerà inevitabilmente ripetitivo, soprattutto per il grinding necessario a potenziare le varie caratteristiche del personaggio.



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Il Platino di Covenant of Solitude



Covenant of Solitude possiede una lista trofei composta da 26 coppe, divise in 10 di bronzo, 9 d'argento, 6 d'oro oltre a uno scintillante e prezioso Platino. La conquista di quest'ultimo chiede di completare la storia e le missioni secondarie, poi di potenziare le abilità del personaggio e registrare ottanta oggetti nella lista dei mostri. Nulla di particolarmente difficile per gli amanti dei giochi JRPG, specialmente di quelli che tributano gli anni '90.




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