Che cos'è un videogioco?
Se andate su Gamedefinitions.com, vi appare una definizione di gioco: è "un sistema formalizzato limitato da confini arbitrari". Ma se cliccate su "non sono d'accordo", ecco che ne appare un'altra: "un'attività non obbligatoria all'interno di uno spazio sicuro" o "una serie di regole che coinvolge un conflitto artificiale che rappresenta un sottoinsieme del mondo". L'idea venne in mente a Paolo Pedercini, l'italiano dietro a Molleindustria (sviluppatore di videogiochi come Democratic Socialism Simulator e Unmanned). La vastità di definizioni rende bene l'idea di una questione ampiamente aperta: ancora oggi, definire cosa sia esattamente un videogioco non è facile. Un videogioco è, di fatto, un linguaggio, un mezzo e, allo stesso tempo, un risultato: come spiegare cos'è in poche parole?
Eppure, accomuniamo al termine videogioco un insieme di esperienze molto diverse fra loro. Lichenia, Wheels of Aurelia e Returnal, prendendo tre prodotti a caso, sono diversissime espressioni dello stesso mezzo. Se li smontassimo un pezzo dopo l'altro, troveremmo elementi così diversi fra loro da farci chiedere come possano rappresentare lo stesso mezzo (il videogioco, appunto). Come potremmo prendere DOOM (con le sue sparatorie dinamiche, la grafica tridimensionale, la musica potente) e metterlo sullo stesso scaffale di Mountain, un gioco dove una montagna dialoga con il videogiocatore, in un'esperienza limitata e vasta allo stesso tempo?
La questione non è univoca del videogioco, ma coinvolge anche altri settori mediali, come la TV, il cinema e la fotografia, secondo Matteo Bittanti, professore associato alla IULM di Milano, coordinatore del master universitario di primo livello in game design e autore di libri come "Giochi video. Performance, spettacolo, streaming", edito da Mimesis Edizioni e curato insieme con Enrico Gandolfi. "Con questo non voglio affermare che la questione della nomenclatura non sia importante, al contrario, è centrale; ma è meno legata alle caratteristiche intrinseche del medium e più alle correlate percezioni sociali, culturali e politiche" sottolinea Bittanti. Un esempio è l'uso dell'espressione "digital video" per riferirsi alla video arte. "Analogamente, il termine 'graphic novel' mira a elevare culturalmente alcune espressioni del fumetto utilizzando una terminologia affine alla più 'nobile' forma espressiva della letteratura (novel è l'equivalente inglese di romanzo, ndr)" aggiunge.
