Cursed New Year – Recensione
C'è un momento, nel corso della breve avventura con Cursed New Year, nel quale ci si imbatte in un piatto di spaghetti con le polpette appoggiato sul ripiano di una cucina. In quel piatto c'è tutta l'essenza di questo gioco: la banalità (che cosa c'è di più classico e scontato di un piatto di spaghetti con le polpette?) e la pochezza (la porzione non è particolarmente abbondante), due caratteristiche che riassumono alla perfezione l'esperienza con il titolo di AU Studio e Sometimes You. Scopriamo perché chiunque non sia ossessionato dai trofei farebbe bene a starne alla larga.
Tutto in venti minuti
Almeno Cursed New Year cerca di abbozzare una trama, anche se si tratta di una storia semplice e lineare che non spoileriamo per non togliere anche l'ultimo potenziale motivo di acquisto del titolo. Gli ingredienti, comunque, sono quelli che potete immaginare: famiglia apparentemente normale e felice poi colpita da difficoltà economiche, rapporto tra i genitori che comincia a incrinarsi, coltelli… e la frittata è fatta. Questi elementi non sono descritti chiaramente ma si evincono da alcuni documenti che è possibile reperire nelle stanze della casa che fa da teatro al gioco.
Un gioco che è fondamentalmente un walking simulator a sfondo horror, farcito con tre (tre!) pseudo-enigmi, a patto che la ricerca di una chiave con cui aprire una porta sia definibile enigma. Visuale in prima persona, inizio in un corridoio stile P.T. illuminato solo dalla luce del nostro accendino, stanze in penombra, musica e rumori di sottofondo che creano un'atmosfera angosciante.
Che cosa dobbiamo fare? Camminare, provare ad aprire le porte che incontriamo solo per scoprire che sono chiuse, in un sistema che così ci indica silenziosamente quale direzione seguire. Dapprima andiamo al piano di sopra, ma serve una chiave per aprire la porta. Casualmente si attiva l'interazione con due tappeti e sotto a uno di essi c'è proprio lei, la chiave. Entrati nella stanza misteriosa, spaventati da un jumpscare che non ci si aspettava, scopriamo che ora una delle porte al piano terra si è aperta. Scendiamo, entriamo, troviamo una cosa, nuovo jumpscare, si apre un'altra porta al piano di sopra, ricomincia lo schema.
Dopo la terza iterazione di questo meccanismo, con l'ultimo jumpscare che a questo punto non funziona neanche più, ci viene richiesto di trovare tre occhi. Non sono nascosti, bisogna solo ripercorrere le stanze della casa per raccoglierli, dopodiché… titoli di coda! Cursed New Year è tutto qui, dall'inizio alla fine in un sol boccone di venti/venticinque minuti. Con tanto di Platino.

Una scolastica accozzaglia di cliché
Uno potrebbe dire che il frutto piccolo è più dolce e succoso. Potrebbe anche essere così. Il problema è che in quei venti minuti troviamo solo una serie di cliché presi dal genere di riferimento che includono, oltre a quanto elencato poco sopra, elementi della storia ormai triti e meccaniche implementate ma inutili (possiamo roteare gli oggetti e i documenti, ma dietro non c'è mai niente!). Come se non bastasse, il protagonista si muove con una lentezza esasperante, irrealistica, senza alcun comando che consenta di accelerare. Un mezzo artificioso per allungare il brodo, un problema enorme in un gioco che già basa sul backtracking forzato la sua struttura.
Dal punto di vista grafico Cursed New Year non fa male e crea un ambiente realistico che, con il giusto impegno, avrebbe potuto diventare il punto di partenza per un'avventura davvero spaventosa. La casa ricorda quella di Visage, per citarne uno, anche se questo gioco in proporzione sta come il misero seme a un grande albero. Anche l'atmosfera avrebbe funzionato, se solo gli sviluppatori avessero voluto creare un gioco e non la demo di una demo.
Trofeisticamente parlando: un Platino (quasi) regalato
La spinta all'acquisto di Cursed New Year può passare solo dal desiderio di conquistare un Platino a 2,99 euro. Ogni oggetto che raccogliamo corrisponde a un trofeo e dopo i titoli di coda ci accorgiamo di aver ottenuto la più ambita delle coppe virtuali. Ne vale la pena? Per un cacciatore di trofei incallito forse sì, per tutti gli altri occorrerebbe farsi qualche domanda.
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