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Wildkeeper Rising – Recensione

Non so bene cosa mi aspettassi da Wildkeepers Rising prima di provarlo. Forse un altro clone di Vampire Survivors con un'estetica carina e qualche meccanica in più. E invece, dopo qualche ora, mi sono ritrovato a pensare che il titolo meritasse davvero qualche punto in più. Il gioco è sviluppato da Lioncode Games, lo stesso team dietro Mech Armada, il piccolo studio canadese parte con delle idee ben chiare, e andando avanti nel gioco si vede. Non è ovviamente un titolo che fa o farà rumore, ma possiede comunque una sua voce, che anche se a volte gracchia un po', ha qualcosa da dire.



Frammenti di un mondo che respira



La storia di Wildkeepers Rising non è una di quelle che vi farà restare svegli a pensare ai personaggi. Però ha un suo fascino. Si parla di Guardiani, creature spirituali, corruzione, equilibrio dei mondi… insomma, il solito armamentario di un qualsiasi titolo fantasy. Ma c'è un dettaglio che mi ha particolarmente colpito: il modo in cui il gioco vi lascia scoprire le cose da soli, non c'è una voce narrante che vi spiega tutto, ma piccoli frammenti, alcuni dialoghi e sporadiche descrizioni. Un po' come succedeva in Hyper Light Drifter, dove ogni pixel sembrava raccontare qualcosa, anche qui non è presente una trama che vi prende per mano, ma se vi piace costruire il mondo nella vostra testa, funziona perfettamente.



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Creature, sinergie e quel caos che diventa casa



All'inizio, Wildkeepers Rising ci si può sentire un po' persi non perché sia complicato, ma perché è uno di quei giochi che ti buttano dentro e ti dicono: “Vai, ora arrangiati”. E in un certo senso è proprio questo il suo bello. Si parte con un personaggio base, si sceglie un Guardiano iniziale – una creatura che combatte al vostro fianco – e si entra in una mappa dove iniziano a comparire nemici da ogni angolo. E lì, inizia il caos.



Il sistema è quello dei bullet heaven, quindi ci si muove in tempo reale mentre si schivano proiettili e si cerca di sopravvivere. Ma qui c'è una differenza: non siete voi a sparare, sono i vostri Guardiani. Voi vi limiterete a muovervi, raccogliere potenziamenti e scegliere nuove creature da aggiungere alla squadra, fino a un massimo di 4 Guardiani. E ognuno di essi ha un ruolo preciso: quello che cura, quello che rallenta, quello che fa danni ad area, e ad esempio quello che si teletrasporta e colpisce i nemici più lontani. Dopo un po', si capisce che non è tanto importante avere il Guardiano più forte, ma quello giusto per la sinergia che state costruendo per il vostro team.



A tratti ricorda un po' le dinamiche di Auto Chess, dove la posizione e la combinazione contano più della forza bruta, a tratti in alcuni frangenti ricorda anche un pizzico di Slay the Spire, per come ogni run diventa un puzzle da risolvere. Ogni run dura circa 10-15 minuti, ma può diventare una maratona se le cose vanno bene, perché quando tutto gira, quando si ha una squadra che sembra un'orchestra sinfonica di distruzione, è proprio una goduria. Sono riuscito a costruire una partita in cui avevo tre Guardiani che creavano scudi, due che lanciavano fulmini a catena e uno che faceva da tank e sembrava di guardare un episodio di Digimon .



Ci sono infine anche potenziamenti passivi da scegliere tra una run e l'altra, e un sistema di progressione che sblocca nuovi Guardiani, nuove abilità e nuove mappe. Nulla di rivoluzionario ovviamente, ma funziona. E soprattutto, vi fa venire voglia di tornare. Un dettaglio che ho apprezzato è la varietà dei nemici, che non sono solo carne da macello, ma hanno pattern diversi, attacchi speciali, e in certi casi vi costringono a cambiare strategia. I boss, poi, sono abbastanza tosti. Non è un gameplay perfetto. A volte il bilanciamento è un po' sbilenco, e ci sono momenti in cui sembra che il gioco vi punisca senza motivo. Nel complesso, Wildkeepers Rising riesce a fare quello che molti roguelite non riescono: vi fa sentire che ogni partita conta, e che ogni sconfitta è solo un passo verso la run perfetta.



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Potenziamenti, sigilli e legami che crescono



Una delle cose che ho apprezzato di più in Wildkeepers Rising è che non si limita al loop “entra, combatti, muori e ripeti”. C'è un'intera struttura che si svela tra una run e l'altra, e che dà un senso di progressione anche quando si fallisce. Dopo ogni partita, si torna in un hub centrale – una sorta di rifugio spirituale – dove si possono gestire i propri Guardiani, sbloccare potenziamenti e prepararsi per la prossima spedizione.



I Guardiani, innanzitutto, non sono solo armi viventi. Hanno una loro identità, e col tempo si sbloccano nuove creature da evocare, ognuna con abilità uniche. Ma la cosa interessante è che non si tratta solo di collezionarli: bisogna anche capire come combinarli insieme. Alcune sinergie sono devastanti, ma richiedono un po' di sperimentazione e improvvisazione. E quando trovate quella combinazione che funziona, è come scoprire una nuova build in Hades o Dead Cells.



Ad aggiungersi a tutto questo, ci sono i sigilli. Questi sono potenziamenti passivi che si possono sbloccare e applicare prima di iniziare una run. Alcuni migliorano le statistiche base, altri modificano il comportamento dei Guardiani o aggiungono effetti speciali. È un sistema che ricorda un po' i “mutatori” di altri roguelite, ma con un tocco più personale.



Infine, ci sono i personaggi giocabili. Non si controlla sempre lo stesso protagonista: si possono sbloccare nuovi Wildkeepers, ognuno con abilità attive diverse. Alcuni hanno dash più rapidi, altri evocano creature extra, altri ancora manipolano il campo di battaglia. È un'aggiunta che cambia davvero il modo in cui si affrontano le run, e dà varietà anche dopo molte ore di gioco.



Insomma, Wildkeepers Rising non è solo un gioco da mordi e fuggi. Ha una struttura che premia la costanza, la curiosità e la voglia di sperimentare. E anche se non tutto è spiegato nei minimi dettagli – anzi, a volte bisogna un po' andare a tentoni – c'è una soddisfazione genuina nel vedere la propria squadra crescere, run dopo run.



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Disegnato con amore e qualche sbavatura



Visivamente, Wildkeepers Rising ha un'identità forte. Tutto è disegnato a mano, con uno stile che sembra uscito da un libro illustrato per bambini cresciuti. I colori sono tenui, le creature hanno un design che oscilla tra il tenero e il bizzarro, e le ambientazioni cambiano abbastanza da non stancare.



Mi ha ricordato certi giochi indie di qualche anno fa, tipo Moonlighter o Children of Morta, dove si vedeva che ogni pixel era stato messo lì con cura. Non è perfetto: su PS5 ho notato qualche calo di frame rate quando lo schermo si riempie troppo, e alcune animazioni sono un po' rigide. Però c'è una cosa che mi ha fatto sorridere: ogni Guardiano ha una sua personalità visiva. Alcuni infatti sembrano usciti da un sogno, altri invece da un incubo gentile.



La musica di Wildkeepers Rising non è invadente. Non cerca di impressionarvi, ma accompagna l'avventura in sottofondo. Nei momenti tranquilli è quasi meditativa, nei combattimenti accelera il ritmo senza diventare però frenetica. Mi è piaciuta, anche se non ricordo nessun brano in particolare. È quel tipo di colonna sonora che sentite più con il corpo che con le orecchie. Gli effetti sonori, invece, sono azzeccati. Ogni attacco, ogni evocazione, ogni potenziamento ha un suono che vi fa capire cosa sta succedendo. E i versi dei Guardiani aggiungono quel tocco di carattere che li rende più di semplici unità da combattimento. Non è un comparto sonoro da premio, ma funziona.



Gotta rise em all



Il Platino di Wildkeepers Rising non è nulla di particolarmente complicato, come in tutti i giochi del genere si dovrà andare a sbloccare tutti gli armamenti, in questo caso specifico tutti i guardiani utilizzabili e portarli tutti al livello 10. Dovremo sconfiggere tutti i boss presenti nel gioco e fare un totale di danni per elemento. La parte più rognosa del Platino sarà quella di sopravvivere per 24 minuti in ogni mappa in endless mode.




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