Kentum – Recensione
Kentum è uno di quei progetti indipendenti che non si limitano a unire generi diversi, ma li rimescolano fino a creare qualcosa che ha davvero una propria identità. Sviluppato da Tlön Industries, il gioco si presenta come un “craftervania” (alla Terraria), un ibrido che mette insieme la progressione esplorativa dei metroidvania, la raccolta e costruzione tipica dei survival e la complessità dei titoli basati sull'automazione. Il tutto è immerso in un futuro remoto, ironico e malinconico allo stesso tempo, in cui l'umanità è ormai un ricordo e la scienza diventa il filo conduttore di una civiltà da ricostruire… da zero.
Kentum non punta né al realismo né all'epica: punta a far vivere al giocatore un viaggio fatto di scoperta, ottimizzazione, errori, rinascite e una buona dose di umorismo nero grazie alla presenza costante dell'IA ORB. È un gioco denso, pieno di sistemi che interagiscono fra loro, ma anche sorprendentemente accogliente per chi ama costruire e sperimentare
Cloni, sarcasmo e un mondo che non aspetta nessuno
Il protagonista, Kent, si risveglia dopo migliaia di anni di sonno criogenico in un mondo completamente trasformato. Non fa in tempo a capire cosa stia succedendo che… muore. E rinasce immediatamente sotto forma di clone. È questo il tono che Kentum mette in chiaro sin dai primi minuti: la morte è un elemento naturale, quasi banale, e l'unica vera costante è ORB, l'IA che accompagna il giocatore con sarcasmo, consigli puntuali e una sorprendente profondità emotiva.
La narrativa non occupa mai un ruolo dominante, ma funziona da collante per l'esplorazione. L'obiettivo principale è indagare misteriosi segnali provenienti da un monolite, mentre si ricostruisce un frammento di civiltà in un pianeta ostile e imprevedibile.

Una civiltà da ricostruire, una macchina alla volta
Come gli esponenti del genere, l'esperienza si basa su un loop di raccolta, costruzione e automazione che cresce in complessità con naturalezza. Partiremo letteralmente con un bastone ricavato dal nostro bonsai, raccogliendo ossa, legno e rottami, si costruiranno utensili rudimentali e, passo dopo passo, si arriverà a creare impianti capaci di lavorare autonomamente, producendo carburante, energia e materiali avanzati.
La progressione tecnologica è uno degli aspetti più riusciti: ogni piccolo avanzamento dà un senso di conquista tangibile, come se si stesse davvero riaccendendo una civiltà estinta. L'automazione, in particolare, non è un semplice optional: è il fulcro dell'evoluzione. Convertitori, macchinari programmabili, appezzamenti e fattorie automatizzate diventano pian piano indispensabili per mantenere un ecosistema sostenibile.
L'esplorazione è varia e comprende mappe interconnesse, biomi unici limitati da accessi che richiedono miglioramenti specifici, come un rampino o un bastone potenziato. Questi, assieme all'hoverboard e al deltaplano, ampliano la mobilità e rendono l'avventura più dinamica, mentre flora e fauna contribuiscono a un mondo vivo, mutevole in base alla stagione nella quale ci troviamo e molto spesso anche letale.
Oltre che un ricambio stagionale avremo a che fare anche con il meteo, che avrà un ruolo incisivo: infatti potremmo trovare tempeste di acido, ondate di calore e notti gelide che possono interrompere catene produttive o mettere in pericolo il nostro Kent, costringendo a ricalibrare risorse e strategie. Il combattimento è semplice ma funzionale. Si parte con il nostro fidato bastone con il colpo classico che dopo poco diventerà anche potenziato per poi sbloccare equipaggiamenti più avanzati, anche se la varietà delle armi a distanza risulta più contenuta. La vera sfida sta nell'imparare a rispettare l'ambiente, che non perdona leggerezze.

Uno stile che guarda al futuro restando bidimensionale
Kentum adotta uno stile 2D stilizzato e curato, con una direzione artistica capace di mescolare suggestioni retrò e futuristiche accompagnate da atmosfere solitarie e malinconiche. Gli ambienti risultano leggibili, caratteristici e ben differenziati, mentre animazioni e luci aiutano a dare profondità a un mondo che non mira al realismo ma a un'identità visiva chiara. L'illuminazione ha un ruolo chiave dato il ciclo giorno/notte e fortunatamente avremo la possibilità, più avanti nel gioco, di avere una sorta di torcia, perché se il giorno è ben illuminato, la notte è buio pesto.
La colonna sonora alterna tracce meditative a brani più intensi, accompagnando situazioni di esplorazione, tensione o scoperta in modo discreto ma efficace. Il sound design è altrettanto valido, soprattutto quando si tratta di comunicare minacce ambientali o attività della base. Dal punto di vista prestazionale, il titolo risulta leggero e stabile, con caricamenti rapidi e un frame rate solido anche nei momenti più affollati. Nota di merito per noi italiani è la presenza della lingua italiana almeno per quanto riguarda i sottotitoli: non perché sia fondamentale in termini di gameplay, ma per apprezzare la trama scanzonata con un humor noir.
La strada dell'automazione non è mai semplice
Il Platino di Kentum si concentra soprattutto sulla progressione naturale del gioco: infatti i nostri principali obiettivi saranno sconfiggere i boss di bioma, fare diverse uccisioni dei mob in mappa, craftare un tot di costruzioni e automazioni — parte fondamentale, dato che alcuni trofei chiedono di automatizzare completamente alcune strutture. La corsa alla coppa blu conta un totale di 34 trofei: la sfida non è difficile, ma per automatizzare un po' tutto potrebbe servire qualche ora in più.
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