Chioschi di noodles e pioggia acida: quarant'anni di distopie urbane videoludiche - articolo
Ricordare un periodo in cui immaginavamo il futuro delle nostre città in modo diverso sta diventando sempre più difficile: niente strade sommerse da una pioggia che riflette la luce delle insegne al neon, niente bassifondi strettamente annidati intorno a imponenti grattacieli, nessuna massa formata da un'umanità che nella propria immotivata fretta, con la propria postura ingobbita e il proprio silenzioso timore indossa i segni dell'oppressione economica e della violenza perpetrata dallo stato. In altre parole è sempre più difficile ricordare come immaginassimo le distopie urbane prima che l'iconografia di Blade Runner si intrufolasse nella nostra coscienza collettiva marchiando le proprie iniziali sul concetto stesso di distopia urbana.
Considerato il notevole impatto del film di Ridley Scott e l'affinità del nostro medium nei confronti della fantascienza il fatto che i videogiochi non si siano tuffati a capofitto su questo setting così evocativo e allo stesso tempo sudicio potrebbe sembrare un po' strano. Per fare un esempio, E.T. debuttò nei cinema nello stesso mese di Blade Runner, nel giugno del 1982. Mentre il primo fu adattato (seppur con risultati disastrosi) prima della fine dell'anno, non abbiamo avuto l'occasione di giocare a fare i Deckard fino al 1985 e, anche se non pessimo come nel caso di E.T., gli sforzi di CRL non furono un grande passo in avanti. La sua caccia ai replicanti richiedeva un'impossibile combinazione di decisioni all'ultimo minuto e precisione al singolo pixel per passare indenni tra strade affollate e il traffico in arrivo al fine di non perdere le tracce della vostra preda. Come mai ci fu una reazione così lenta, sopratutto per il folle mondo dei videogiochi degli anni 80 in cui acquisire i diritti non era di certo una priorità?
La ragione per cui non abbiamo avuto giochi ambientati in un mondo distopico dalla prima metà della decade diventa evidente dando un'occhiata più da vicino ai temi ricorrenti associati al film. Blade Runner non proponeva una singola catastrofe globale, una guerra o un'invasione aliena che forzasse una chiara distinzione tra nemici e alleati. Una illusione di stabilità sociale è essenziale nelle distopie urbane. Qualsiasi sia la minaccia da affrontare, che si tratti di un replicante o di un politico corrotto si tratta tipicamente di qualcosa che viene dall'interno. La sfida non consiste tanto nel neutralizzarla ma nell'individuarla. La natura introspettiva del sottogenere (un ovvio rimando alle radici noir del film) inoltre porta quasi invariabilmente al suo colpo di scena più caratteristico: il mettere in dubbio, e spesso cambiare completamente, le alleanze.
