Il single-player non è morto - editoriale
La chiusura di Visceral Games ha sollevato un vespaio. "I videogiochi single-player sono morti". "Il mercato è cambiato". Sì, è così. È in costante cambiamento, sempre alla ricerca di una forma stabile e, soprattutto, sostenibile economicamente. Nel corso di questo processo, saltuariamente qualche casa di sviluppo - vuoi per un flop da cui non si sono riprese, vuoi per scelte aziendali del produttore a cui sono associate - viene meno.
La questione economica è stata già affrontata quando abbiamo parlato delle loot-box, la nuova frontiera nel tentativo di scovare ulteriori vie di monetizzazione nei videogiochi da parte di sviluppatori e produttori. La questione che voglio indagare io, invece, è un'altra: davvero le esperienze a giocatore singolo si stanno estinguendo? Prendiamo in considerazione i principali publisher per volume: Electronic Arts, Activision, Ubisoft e Bethesda.
Il primo caso è forse il più lampante: la società di Redwood City è quella che più di tutte sta inseguendo il nuovo orizzonte del multigiocatore, ma soprattutto - perché è qui che l'utenza si è sollevata in massa - dei contenuti a pagamento come DLC, microtransazioni, spingendo al "pay to win" e altro. Non a caso il suo principale titolo allo scorso E3 di Los Angeles è stato Anthem, la risposta firmata BioWare a Destiny; un titolo da giocare anche da soli, ma costantemente connessi alla rete e al grande mondo realizzato dalle menti del team di sviluppo. Ci sono poi Star Wars: Battlefront II e Battlefield 1 che, nonostante possano contare su una campagna a giocatore, puntano molto sulla componente multigiocatore: mappe, armi, skin, espansioni; tanti contenuti vengono - e verranno - riversati ogni mese per mantenere attiva la comunità online.
