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La difficoltà nei videogiochi può essere un ostacolo? - editoriale

La scorsa settimana, più di una voce autorevole si è sentita chiamata in causa nel corso della gigantesca discussione fiorita attorno a Sekiro: Shadows Die Twice, l'ultimo lavoro di From Software firmato da Hidetaka Miyazaki. Nei giorni successivi alla release, infatti, alcuni recensori e una buona fetta dell'utenza hanno sposato una causa comune: quella di domandare a gran voce un selettore della difficoltà, dal momento che l'opera sarebbe troppo complessa per essere fruita dal grande pubblico.



Così, sono tornate al centro dell'attenzione mediatica una serie di domande che da circa trent'anni riaffiorano costantemente nei confini del medium: la difficoltà può pregiudicare il divertimento? Il livello di sfida è parte integrante del game design? È giusto lasciare nelle mani del videogiocatore la possibilità di decidere come fruire del prodotto?



Diverse personalità al centro dell'industry hanno voluto dire la loro. Cory Barlog, game director dell'ultimo God of War, ha affermato che il livello di accessibilità non è mai stato e non sarà mai un limite alla sua visione autoriale del videogioco. JP Kellams, creative producer di Platinum Games al lavoro sul brand di Bayonetta, si è dimostrato meno stoico riguardo l'argomento, dichiarando che "la modalità più facile di Bayonetta non pregiudica assolutamente il livello di sfida della difficoltà Platino Puro" e aggiungendo: "la presenza della modalità facile non rovina l'esperienza dei giocatori hardcore: nessuno si è lamentato della sua esistenza con il team".



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12 aprile 2019 alle 17:10

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