Pendragon - recensione
Uno degli Artù più noti è quello de La spada nella roccia: nel lungometraggio Disney è un giovane scudiero che solleva l'Excalibur, dopo un duro apprendistato con l'anziano Merlino. Nella fortunata serie BBC, è invece coetaneo e compagno di Merlin. È il Re in eterno di White e il Re dei cavalieri nell'anime Fate. Ha incontrato un certo americano del Connecticut, grazie a Mark Twain. Ne abbiamo cercato i resti in Tomb Raider: Legend. Che ci crediate o meno, è stato un villain di Sonic.
Al di là del gioco di citazioni, è interessante notare come il vero ciclo arturiano sia ugualmente frammentario, come fosse l'esito di un multiverso Marvel. Non sempre le fonti del mito coincidono, alle volte un cavaliere salta di poema in poema, creando incongruenze temporali, geografiche e bizzarre parentele.
Nella tradizione cavalleresca orale, non è neanche raro assistere ad esiti diversi della stessa storia. Forse proprio per questo il ciclo arturiano ha affascinato lo studio Inkle, al punto da diventare la fonte del suo ultimo titolo: Pendragon. Da sempre, gli sviluppatori del team hanno sperimentato con i limiti e le possibilità della narrazione ramificata. L'interesse per lo storytelling e per i libri-game, evidenti dal convincente 80 Days tratto dal famoso giro del mondo di Jules Verne, non possono che trovare terreno fertile nell'enorme quantità di tradizioni e leggende della Tavola Rotonda.
