Il Male Non Esiste, la recensione: un'opera contemplativa che muta nell'immobilismo e più che il rapporto uomo-natu
Dopo aver conquistato la Mostra del Cinema di Venezia – con tanto di Gran premio della giuria -, il nuovo film di Ryusuke Hamaguchi arriva finalmente al cinema in Italia. Immergendosi nelle leggi incomprensibili e inafferrabili della natura, l'autore giapponese attraversa le radici ancestrali della sua potenza creatrice e distruttiva con il dispiegamento intenso dell'altrettanto misteriosa poesia musicale, rappresentando l'immobilismo che paradossalmente ne causa e ne accompagna i mutamenti. I tempi del film – ambientato in un tempo post pandemico – risultano allora completamente smorti e dilatati, grumosi e zoppicanti, indolenti e contemplativi, ripiegati nell'attesa dell'impercettibile svolta che si prepara.

L'opera di Hamaguchi affronta solo apparentemente il tema del rapporto tra uomo materialmente evoluto e natura, che sembra essere l'esplicito terreno di indagine della trama – l'invasione consumistica di un luogo incontaminato. Lo svolgimento, in realtà, prende una direzione largamente più interiore e abissale, raccontando lo spaesamento del sopra citato essere umano dinnanzi alla propria dimensione e inesorabile trasformazione esistenziale: l'egoismo e l'invasione del mondo pubblicitario – il camping deve essere glamour e diventa perciò “glamping” -, le zone d'ombra – il protagonista potrebbe essere uno spietato omicida -, la distanza fisica ed emotiva – ormai ci si incontra e addirittura ci si sposa tramite le app di incontri sul cellulare -. Insomma, più che il rapporto tra uomo e natura, Il Male Non Esiste si guarda dentro indagando l'involuzione della natura umana e la sua innaturale volontà di controllo.
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