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Aspettando Venezia, si agitano le acque del cinema italiano

Pochi mesi fa abbiamo descritto in un articolo la situazione di crisi del cinema italiano, aggravata da un superficiale autocompiacimento istituzionale che figurava come un maldestro tentativo di nascondere i problemi e le mancanze artistiche e di sistema. Sfruttando le luci apparentemente sgargianti delle cerimonie di maggiore prestigio del panorama (inter)nazionale, risulta infatti più semplice mettere in ombra la disastrosa condizione in cui versa ormai da anni il nostro cinema. Questo processo di occultamento è stato avallato e talvolta fagocitato dal circo(lo) mediatico, che non si è mai lasciato sfuggire l'occasione di tessere lodi sperticate con il finto entusiasmo di chi sa la verità, ma sa anche che forse conviene non esplicitarla. Ora che si avvicina la nuova edizione della Mostra del Cinema di Venezia, è il momento di proseguire questa riflessione sul tema.



In seguito alle sempre più stringenti polemiche dovute alle controversie di un Tax Credit non adatto a sostenere le esigenze di un'industria in declino, è arrivato il nuovo decreto di riforma ad opera di Gennaro Sangiuliano e Giancarlo Giorgetti. Spiegate in anteprima da Angelo Zaccone Teodosi per Key4biz, queste cinquantasette pagine si presentano come un macchinoso e burocratico rinnovamento che tradisce però il significato stesso della parola, poiché sembra che il documento in questione non cambi realmente le dinamiche più importanti sulle quali era utile lavorare.



Aspettando di commentare ancora più nel dettaglio, Zaccone pone l'accento sul fatto che il decreto non sia stato discusso con il Consiglio Superiore del Cinema e Audiovisivo, che dovrebbe invece rappresentare un passaggio obbligato di interlocuzione. La mancata trasparenza in tal senso sarà indubbiamente oggetto di ulteriori e fondate polemiche, ma già Michele Lo Foco, avvocato del Consiglio, si è espresso sulla vicenda commentando il decreto con parole molto critiche e sottolineando l'assenza di tutela e attenzione verso i produttori indipendenti.



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Chi viene colpito da questa confusione è in generale il cinema stesso nella sua interezza: per quanto riguarda il sostegno pubblico, l'anno 2024 è ormai ipotecato, e gli effetti sono evidenti nella povertà dell'offerta cinematografica nostrana. Come se non bastasse, dalla “valutazione di impatto” scopriamo che molto meno della metà dei film finanziati dallo stato vengono poi distribuiti nelle sale. Una situazione desolante, ma per misurarne la gravità basta anche solo consultare i dati che riguardano l'affluenza degli spettatori al cinema e i risultati (più che modesti) al botteghino delle pellicole di maggiore impatto. Tutto ciò è avvenuto e continua a verificarsi con l'indifferenza di gran parte della stampa e con l'omertà degli enti e dei professionisti interni al settore, che non si esprimono per evitare di perdere favori e gradimento.



Questo atteggiamento di proficua complicità è tuttavia in fondo poco conveniente, in particolare per gli autori, poiché la scacchiera è ferma, la crisi è sempre più pervasiva e prima o poi farà crollare tutte le pedine, ma evidentemente c'è chi rimane attaccato persino alla briciole. Intanto, con l'atmosfera più che mai tesa e Venezia dietro l'angolo, Antonietta De Lillo si prepara a scuotere la Mostra con il film di denuncia L'occhio della gallina. Tramite un racconto autobiografico, l'autrice napoletana promette di puntare i riflettori su tutte le incoerenze e le prevaricazioni che avvengono da tempo nel sistema, che pur di continuare a “funzionare” emargina le voci dissidenti. Che questo atto sia di richiamo verso personalità altrettanto coraggiose e faccia tremare un ambiente sul punto di esplodere? Lo scopriremo, e saremo lì per raccontarvelo in diretta. Il manifesto di questa edizione raffigura un elefante nella Laguna, ma forse il vero tema è l'elefante nella stanza del cinema italiano.



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30 luglio 2024 alle 17:11

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