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Steto96

ha scritto una recensione su Homefront: The Revolution

Cover Homefront: The Revolution per PS4

Una Rivoluzione Morta sul Nascere

Appena mi sono seduto per raccogliere i miei pensieri su Homefront: The Revolution sono andato un po’ in crisi, lo ammetto. Parlando di Stranglehold qualche mese fa ho anche detto come mi appassioni andare a recuperare quei titoli di cui magari nessuno parla più, giochi che non hanno avuto molta fortuna o non hanno mai avuto un posto al sole sugli scaffali dei negozi. Credevo di aver acquistato questo Homefront: The Revolution proprio per questo motivo. È quindi forse un po’ malsana questa mia missione nella terra dei giochi di serie B? Sì, lo è, ma pensandoci su ho capito che in realtà il problema è un altro, perché anche agli occhi di un profano del mondo dei videogiochi questo H:TR è chiaramente un gioco grigio in tutti i sensi. Il problema è che, nonostante io abbia un backlog abbastanza importante, continuo a sprecare tempo e soldi su giochi del genere. Il perché non lo so nemmeno io. H:TR è stato un viaggio mistico che mi ha portato a capire il senso del tempo, e dopo aver bruciato davvero troppe ore per finire questo gioco ora posso dire di essere guarito, e anche se rimpiango quelle ore sono pronto a spenderle con più consapevolezza in qualcosa di meglio. Quindi, cosa ho visto oltre questo Velo di Maya?
Il grigio, come ho detto poco sopra. Il grigiume di un gioco pensato male seguendo strane ottiche di mercato. Ricordiamoci che il primo Homefront aveva cercato di gareggiare con Call of Duty nel mercato dei FPS, proponendo proprio la struttura lineare e spettacolarizzata dell’allora incontrastato campione del genere. Questo H:TR, dopo innumerevoli vicissitudini nello sviluppo, approda nel 2016 in un mondo dove gli open world spopolano e quindi cosa fa? Decide di fare copia-e-incolla con la formula di Far Cry, con meno colori, meno stravaganze, meno innovazione. Meno tutto. È come giocare a un capitolo del titolo Ubisoft spolpato fino all’osso e poi rimpolpato con altra carne avariata.
Tra l’altro ci tengo a fare una piccola parentesi. H:TR ha avuto pure la brillante idea di uscire nel maggio del 2016. Lo stesso identico mese di Uncharted 4, Doom e Overwatch. Piccoli suicidi di marketing.
In questo mondo alternativo la Corea del Nord ha compiuto un balzo avanti non indifferente nel campo della tecnologia, diventando leader globale nel mercato e arrivando a conquistare gli Stati Uniti d’America. Questi, avendo contratto un enorme debito con la Corea, subiscono l’invasione di quest’ultima, aiutata da una backdoor nelle tecnologie da loro prodotte e vendute in suolo americano per disattivare ogni apparecchio in dotazione agli statunitensi. H:TR ci mette nei panni di un silenzioso combattente, Ethan Brady, con il compito di scortare uno dei leader della Resistenza, Benjamin Walker, all’interno della cellula di Filadelfia. Ovviamente le cose vanno storte fin da subito, Walker viene catturato e Ethan si riunisce con il gruppo di resistenti per cercare di liberarlo. H:TR è un reboot che riprende solo le premesse del primo gioco per poi raccontare una storia completamente slegata da quella del primo capitolo, storia che in ogni caso non convince e, anzi, annoia il giocatore. Non ho trovato nessuno spunto interessante o innovativo che mi spingesse ad andare avanti di missione in missione con un minimo di desiderio di scoprire il prossimo passo nel racconto creato dal gioco. La trama è completamente dimenticabile, così come tutto quello che vi ruota attorno: i personaggi sono anonimi, il doppiaggio originale è svogliatissimo, i dialoghi sono anch’essi grigi e vuoti. Manca un vero nemico, perché a conti fatti non c’è mai un antagonista degno di questo nome che incarni la cattiveria di una forza conquistatrice che non si limiti soltanto a malmenare leggermente qualche passante e radere al suolo quartieri disabitati. Durante il climax è anche inserita una “scelta morale” totalmente inutile, fuori luogo, senza senso, senza conseguenze. Un macello.
La narrazione del gioco sottolinea soltanto tutto il piattume e il grigiore del gioco stesso. H:TR sarebbe dovuto essere un gioco lineare, probabilmente in un determinato momento dello sviluppo lo è anche stato. Ormai sembra che la linearità in un gioco sia una caratteristica negativa, da evitare. In molti casi invece avrebbe significato molte più possibilità di proporre un gioco se non originale almeno ben strutturato. Sapere che sono stati spesi soldi per creare questa Filadelfia alternativa mi riempie di tristezza. Il gioco propone due tipi di aree nelle quali muoverci. Le Zone Rosse sono territori desolati, colpiti dalla distruzione della guerra, costellate da classici punti e roccaforti da conquistare. Oltre alla conquista di queste zone non c’è molto altro da fare, dato che non esistono missioni secondarie, eccetto forse una serie di compiti à la lista della spesa davvero inutili e noiosi. Persino conquistare tutti questi punti caldi della mappa non è mai niente di troppo difficile: solo le roccaforti prevedono scontri a fuoco neanche così impegnativi. Le Zone Gialle invece sono settori residenziali nelle quali la presenza delle forze militari non permette di muoversi così liberamente ed è quindi richiesta una certa discrezione per evitare di attirare guai. Anche qui la mappa ospita una serie di punti da conquistare, sempre con la stessa facilità, oltre alla possibilità di compiere diversi gesti sovversivi utili per rovesciare il controllo dei Nordcoreani nella zona, ispirando gli abitanti a rivoltarsi contro l’oppressore. Questa attività diventa decisamente più centrale una volta finita la sequenza di missioni principali nella Zona, dato che per avanzare ogni volta viene richiesto di convertire la totalità della popolazione dell’area e quindi eccoci correre a destra e a manca per completare l’ennesima lista della spesa di obiettivi.
Le Zone Gialle propongono delle aree tutto sommato abbastanza distinte per architettura e tipologia, mentre le Zone Rosse sono pressoché indistinguibili tra di loro nel loro essere un cumulo di macerie grigio-verdi sparse randomicamente lungo una spianata altrettanto grigia, senza veri punti di riferimento che spicchino visivamente nel paesaggio. Spostarsi così di punto in punto diventa semplicemente una noia senza fine, un modo per allungare ancora di più il brodo.
Le missioni principali sono, ditelo con me, dimenticabili. Non c’è un solo momento che si salvi, dall’inizio alla fine. Da notare anche che in più di un momento il gioco propone delle sezioni tutto sommato lineari e limitate nell’ambientazione, isolate per l’appunto ad alcuni momenti della storia principale, ma anche in questi frangenti il gioco non cerca di spiccare il volo o almeno di provare qualche timido balzo, proponendo momenti magari un poco più’ scriptati in favore di una spettacolarizzazione che forse avrebbe impresso qualche ricordo nella memoria di chi gioca.
È un peccato anche perché il gunplay del gioco non è così malvagio, proponendo una ottima varietà nelle armi. Questo anche perché il gioco propone un sistema di personalizzazione delle bocche da fuoco abbastanza versatile e che permette di cambiare il proprio assetto nel giro di pochi secondi. Ogni arma infatti può essere modificata radicalmente, un fucile da assalto può diventare in pochi secondi un lanciagranate; un fucile a pompa può essere modificato per lanciare proiettili infuocati; una balestra può diventare un lanciafiamme. È anche possibile cambiare al volo i vari accessori delle proprie armi, tra diversi mirini, silenziatori, impugnature e così via. Niente di trascendentale, ma comunque una buona idea che ho anche apprezzato. È possibile anche creare una serie di equipaggiamenti consumabili come granate esplosive e incendiarie utilizzando alcuni materiali da raccogliere nel mondo di gioco. Ciascun equipaggiamento è disponibile in quattro versioni diverse che permettono di cambiare al volo strategia, ma data la demenza dell’IA nemica raramente ce ne sarà il bisogno. Il gioco ha anche avuto il coraggio di proporre una modalità multiplayer cooperativa totalmente evitabile, che propone alcune missioni da completare in compagnia.
Graficamente il gioco non è così malvagio. Sicuramente con una direzione artistica più capace avrebbe potuto brillare di più. Al contrario, il gioco è ancora un disastro sotto il profilo tecnico, con crash e problemi di frame rate dietro ogni angolo.
Visto che non avevo già sofferto abbastanza, ho anche giocato ai tre DLC rilasciati per il gioco. Ora, questi tre piccoli frammenti di gioco, dalla durata di circa due orette ciascuno, riescono a essere migliori del gioco base, sotto certi aspetti. Non per questo riescono a farsi ricordare in ogni caso, ma a mio avviso riescono a offrire un’idea di come sarebbe stato questo H:TR se solo avesse avuto il coraggio di seguire la strada dello sparatutto lineare. Infatti tutte e tre le espansioni propongono situazioni ben più limitate rispetto all’open world del gioco principale. The Voice of Freedom si propone come un prequel e ci mette nei panni di Benjamin Walker nei momenti prima della cattura avvenuta all’inizio della storia principale. Pad alla mano probabilmente è il migliore del gruppo in quanto a gameplay, offrendo delle sequenze abbastanza variegate tra di loro, tra stealth, inseguimenti e sparatorie tra tunnel pericolanti. Aftermath è ambientato dopo la conclusione della storia principale e propone anche in questo caso nuove ambientazioni abbastanza interessanti e tutto sommato presentando un vero level design in zone da attraversare preferibilmente in silenzio e senza farci notare dai nemici. Beyond the Walls completa il ciclo con la fine della storia di Ethan Brady, un finale che avrebbe sicuramente risollevato l’encefalogramma piatto della storia principale mostrando una degna conclusione alle vicende del guerrigliero. Verrebbe quasi da dire che il pacchetto di DLC potrebbe valere il prezzo del biglietto se solo il gioco principale non mi avesse già fatto venir voglia di disinstallare il tutto.
Per i veri amanti del dolore c’è la strada per il platino, strada che presenta come unica difficoltà la tentazione di abbandonare il gioco e passare ad altro. Stiamo parlando di coppe ottenibili completando il gioco e tutto ciò che ha da offrire, compresa la modalità coop. Effettivamente la cosa più difficile è trovare un compagno di giochi altrettanto dedito a farsi del male assieme per portare a casa una coppa di Platino più rara del dovuto.
State lontani da Homefront: The Revolution, vi prego, fate qualcosa di produttivo, non sprecate il tempo come ho fatto io, ci sono tantissimi giochi belli da giocare e se proprio non volete ci sono tanti giochi brutti più divertenti di questo. Odiatevi in qualsiasi altro modo, ma non odiatevi così tanto da decidere di giocare anche solo due secondi a questa bruttura trasformata in gioco.