Kingsman: il Cerchio D'oro - recensione
La storia vuole che un giorno Mark Millar e Matthew Vaughn si siano trovati in un bar per discutere di quanto seri fossero diventati i film di spionaggio, e che in quell'occasione abbiano gettato le basi di Kingsman: Secret Service. Mark Millar, per chi non lo sapesse, è il creatore insieme a Dave Gibbons dell'omonimo fumetto; Matthew Vaughn, invece, all'epoca era il regista dietro film quali Kick-Ass e X-Men: First Class. L'idea di lavorare a Kingsman lo portò ad abbandonare la direzione di X-Men: Days of Future Past, una scelta che lui stesso ha definito molto difficile, motivata dal fatto che "se non l'avessi fatto io, qualcun altro si sarebbe svegliato e avrebbe fatto un film di spie divertente".
Presa dunque la decisione di procedere, venne il momento del casting degli attori, che però portò a soluzioni inaspettate col coinvolgimento di un Colin Firth apparentemente fuori ruolo e di Samuel L. Jackson nella parte del cattivo. La star hollywoodiana, infatti, pare avesse da sempre nel cassetto il sogno di partecipare a un film di James Bond, e capito che se non era ancora accaduto forse non sarebbe successo mai, salì volentieri a bordo del progetto
Il risultato fu un piccolo capolavoro capace di guadagnare 414 milioni di dollari e di divenire il film di maggiore successo nella carriera di Matthew Vaughn. E, al di là dei soldi, di imporsi come un cult movie che tuttora non gode della fama che meriterebbe, grazie al suo eccezionale equilibrio tra elegenza e grossolaneria, umorismo e serietà, riflessione e azione, con alcuni dei combattimenti più spettacolari mai visti al cinema. Nessuna di queste componenti prevaleva sulle altre nel primo Kingsman, eppure nel pensare al sequel la produzione deve aver ragionato troppo su quei pochi elementi che potevano essere rivisti.
