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È giunto il momento che i giochi si disinnamorino di Lovecraft - editoriale

Non facciamo troppi giri di parole. H.P Lovecraft era un razzista e prima di intavolare una discussione che miri a separare l'arte dall'artista che l'ha prodotta, cerchiamo di essere chiari su un altro punto: lo sono anche i suoi racconti. Anzi, essi comprendono anche altri elementi problematici: la misoginia e l'omofobia, ad esempio. Se ci s'immerge nell'essenza stessa delle sue storie e nei temi che ricorrono più spesso nei suoi lavori, troveremo quella prospettiva piena d'odio che lui aveva del mondo. Tutta l'ignoranza tipica di qualcuno che ha visto per la prima volta qualcosa di diverso da se stesso e ne ha provato repulsione come unico sentimento. Mentre lui traeva ispirazione dalle opere che lo avevano preceduto, quello che Lovecraft è riuscito a donare al genere del “cosmicismo” è tutto il suo odio.



Tutto questo adesso è un problema anche dei videogiochi. Per decenni i videogiochi hanno riutilizzato le tematiche, le trame e l'estetica dei suoi racconti senza porsi alcun problema. I mostri mezzosangue che incarnano l'essenza stessa della repulsione che provava Lovecraft, i tormentati maschi bianchi, eroi delle sue storie che contengono in loro tutta la sua arroganza e la sua rozza semplificazione della malattia mentale sono ricreati all'interno dei videogiochi senza nessun atto di sovversione, senza pensiero critico. Continuando così a vivere, ancora e ancora, dell'odio di Lovecraft. Almeno Bloodborne ha avuto la decenza di suggerire a tutti noi che il protagonista potesse essere il vero cattivo della storia.



Poi c'è un'altra cosa. Tutto questo, oltre ad essere profondamente problematico, è anche noioso. Quanto terrificante può essere il mostro lovecraftiano, anche se fosse quello realizzato meglio, se lo si è incontrato già decine di volte in decine di giochi? Sono passati dall'essere orripilanti e tentacolosamente divertenti, all'essere decisamente noiosi.

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2 novembre 2018 alle 12:40

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