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Zenzero

ha pubblicato un'immagine nell'album Cinema

The Place, regia di Paolo Genovese

Ho visto The Place due giorni dopo la sua uscita, ma per problemi legati ad internet soltanto ora posso scrivere un parere, seppur approssimativo, sull'ultima fatica di Genovese. Dico 'approssimativa' sia perché non ho voglia né ragione di scrivervi dettagliatamente un papiro sulla qualità tecnica e registica del film, sia perché dall'unica visione che ho concesso a The Place sono sicuro non sia emerso interamente la sostanza del film, e alcune cose ancora non mi sono ben chiare.

Definire 'The Place' l'ultima fatica di Genovese, come ho fatto io, forse è sbagliato a ben vedere. Difficile parlare di 'fatica' quando plot narrativo e buona parte dei personaggi e delle vicende sono riprese, tali e quali, dalla più o meno conosciuta serie televisiva canadese 'The booth at the end'. Tuttavia, sono dell'idea che fin quando un artista ha la capacità di inserire del proprio all'interno di un'idea, di un progetto già proposto in passato da altri, in un altro Paese, all'interno di un altro contesto, rendendolo dunque un frutto autonomo e distinto dalla sua fonte originaria, è giusto che si dia valore alla sua opera. Lo dico subito, con Genovese quest'idea di adattamento, di personalizzaione l'ho precepita, purtroppo.

Purtroppo, sì. Perché il 'riadattamento' di The Place, a mio modo di vedere, sta nell'aver imbevuto il plot originale di concetti cari alla fede cristiana, giocando su una serie di allusioni mai realmente lampanti allo spettatore ma che lasciano un'idea a volte piuttosto chiara della morale cattolica del film. Peggio ancora, The Place si lascia aperto a tante interpretazioni, propone tantissime chiavi di lettura senza mai imporne una decisiva. Questo è un bene, in altri casi. Nel caso, però, di un film che affronta sfacciatamente il tema del destino, della scelta, del libero arbitrio posto in contrapposizione costante con la predestinazione, della ricerca della felicità attraverso più vie, non presentare mai una collocazione ben precisa mi da l'idea che il film nasca come un'enorme paraculata (scusate il francese) che sa di non essere in Canada ma in Italia, territorio dal pubblico ferventemente cattolico, e strizza quindi l'occhio a quel pubblico senza mai rivelarsi davvero. Mastrandrea potrebbere essere mefistofelico o tremendamente terreno, la Ferilli potrebbe essere Dio o l'impersonificazione dell'Amore. E poi i comprimari, anime perse che entrano ed escono da questo bar senza una direzione precisa, senza morale.

The Place è forse il primo film italiano a soffrire della sindrome di Youth di Sorrentino. Esattamente come quest'ultimo, che a seguito del clamoroso successo de 'La Grande Bellezza' doveva imporsi come opera suggestiva, simbolista, metaforica ed allusiva, così The Place vive all'ombra dell'irrefrenabile successo internazionale di Perfetti Sconosciuti, e ciò che viene fuori è un film tecnicamente interessante, contenuto nella forma e metafisico nel contenuto (finalmente!), ben recitato da un cast corale superbo, ma inutilmente pretenzioso e stracolmo di momenti e personaggi retorici fino allo sfinimento. Un film americano studiato per un pubblico italiano, troppo italiano (semicit), e che paradossalmente per la sua eccessiva italianità nel concepire Dio e la fede (parlo del pubblico) non verrà neppure capito davvero.