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Su Gigetto

Integralista del Commodore 64 dal 1985 circa, ho cominciato con Pifall II. Se non hai almeno un gioco del Commodore 64 o Amiga in collezione, per favore non mandare richieste di amicizia.

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Gigetto

ha scritto una recensione su Flashback

Cover Flashback per Amiga

Flash festa and back

Nella mia pre adolescenza, il negozio di piccoli elettrodomestici del mio quartiere, ora defunto, era in realtà il mio luogo di spaccio di videogames copiati (piratati, illegalmente duplicati, etc).

Il figlio del proprietario con SOLE circa cinquemila lire garantiva l’accesso ad una SCATOLA DA SCARPE piena di dischi copiati per il mio mitologico Amiga 500 acquistato, peraltro nello stesso negozio, in anni (letteralmente) di sanguinosi risparmi.

L’affare era che io avrei potuto portare a casa per tre giorni il suddetto scatolone pieno di dischi, il cui contenuto variava casualmente settimana dopo settimana, in modo da provarli e copiare a mie spese tutto quello che mi fosse piaciuto... e un sabato mattina ci capitò anche questo Flashback.

FB era un gioco che per via della grafica vettoriale e la modalità di gioco molti (me incluso) ritenevano a torto il seguito di Another World, pietra miliare dei videogiochi i cui fasti però non vennero mai eguagliati (neanche dal suo seguito ufficiale, Heart of the Alien che l’autore originale Eric Chahi pare odiasse con tutte le sue forze).

Dopo una meravigliosa sequenza introduttiva, cominciai a giocare;
le animazioni erano estremamente fluide, le sparatorie divertenti e il gioco in sé… meh, si faceva giocare fino alla fine, anche se per chi come me era reduce dalle fatiche di Lester contro gli scimmioni alieni, era poca cosa.

Dedicai quasi tutto il sabato seguente a giocare; tuttavia arrivato alla fine, verso le ore 17,30 circa, iniziò quella che sarebbe stato il boss di fine livello più difficile mai incontrato in tutto il gioco: mia mamma.

Quel sabato pomeriggio in effetti, una mia compagna di classe aveva organizzato una festa di compleanno e sua madre si era presa la briga di telefonare ai genitori di tutti i suoi compagni per invitarli al lieto evento.

Mi venne quindi intimato di spegnere tutto, vestirmi a festa e recarmi appunto alla soirée di una quattordicenne che mi aveva invitato per buona creanza, insieme al resto della classe al completo, e con la quale avevo scambiato sì e no quattro parole in croce (cose tipo “ciao”, “c’hai una penna” e “ti hanno interrogato?”).

Il tutto mentre l’ultimo livello di Flashback pian piano aveva cominciato a cedere sotto ai colpi del mio entusiasmo nerd pre adolescenziale, creando una spaccatura dalla quale già intravedevo la mitica sequenza animata finale, divina promessa di tutti i giochi degli anni 90: feci del mio meglio per convincere mia madre che non me ne poteva fregare di meno di socializzare con la festeggiata e la classe, e che preferivo stare appiccicato al tubo catodico del mio monitor Commodore, ma chissà com’è non mi assecondò e mi impose questo impegno sociale come inevitabile.

Iniziai quindi mio malgrado a vestirmi di tutto punto per l’occasione, con delle orrende accozzaglie di capi anni 80 - 90 all’epoca giudicati “cool” (dai miei genitori): scarpe simil Timberland e pantaloni marroncino cacarella a costine di velluto, una camicia a scacchettini rossa e blu presa in saldo alla UPIM della quale era però possibile intravedere solo colletto e polsini che spuntavano da sotto un’enorme felpa Best Company verde con il profilo piumato di un indiano Chippewa pieno di scritte assolutamente imbarazzanti (felpa che non so proprio perché spesso ci litigavamo io e mia sorella), e una giacca da barca verde pisello (citata tristemente anche in altre recensioni).

Tuttavia, mentre indossavo i suddetti vestiti “eleganti” per la festa, riuscii tra una scarpa e una ciavatta, un mocassino e un pantalone, un bottone e un’asola, a completare l’ultimo livello e finire Flashback, accedendo finalmente alla tanto agognata sequenza finale.

Il tutto tra le ire di mia mamma, che minacciava di sequestrarmi il computer a tempo indefinito, e mi ricordava quanto fosse importante che mi integrassi nella classe in modo da non rimanere, come mi definivano i miei, “un emarginato” (all’epoca la parola “nerd” non esisteva ancora, almeno in Italia).

Eravamo già in ritardo per l’evento mondano, ed ebbi pochissimo tempo per vedere la cut scene conclusiva, che per fortuna (e per limiti tecnici dell’epoca - che in un dischetto ci stava massimo un mega e quattro - e di budget della produzione) durò ben poco. Quando la scritta THE END, peraltro con lo stesso font di quella di Another World comparve sullo schermo, mia madre mi intimò per l’ultima volta di spegnere tutto ed uscire immediatamente, cosa che feci a malinquore (scritto con la Q a testimonianza del mio rendimento a scuola… sQuola?) privandomi della soddisfazione di vedere tutti i credits.

Un paio di porte, portiere e giri di chiave dopo, mi trovai seduto sul sedile anteriore dell’automobile di famiglia, mentre i riflessi dei lampioni accesi per illuminare il tardo pomeriggio invernale guizzavano velocemente sopra il parabrezza, e mia mamma alla guida consultava il “Tuttocittà” approfittando di ogni semaforo (Google maps non era neanche nella mente degli Dei, così come neanche il world wide web, i cellulari, i nutella biscuits e la pandemia).

Arrivati a destinazione venni deportato al terzo piano di un condominio, dove la compagna di classe brufolosa (come me), sfoggiava un vestito scuro probabilmente cucito da una suora, capelli raccolti da un cerchietto, collant neri saltallegro 2000+ denari e ballerine di vernice verde: a questa guisa, ella attendeva i suoi ospiti con un sorriso stampato e trafitto dal metallo del suo apparecchio fisso, spacchettando regali (nel mio caso una trousse da trucco per adolescenti comprata da mia madre il giorno stesso della telefonata della sua) e gettandoli poi nel carnaio degli altri ricevuti;

Dopo che rimasi solo in questo strano teatro, la festeggiata mi condusse in una stanza piena di sedie di tutti i tipi, evidentemente raccattate da tutta casa, sulle quali altri compagni di classe invitati alla festa sedevano infelici, tutti rigorosamente vestiti in modo ridicolo dalle loro famiglie e divisi per genere (femmine da un lato e maschi da quello opposto) senza sapere come comunicare (e soprattutto senza trovarne il motivo), mentre il tavolo del buffet veniva saltuariamente saccheggiato di panini lucidi all’olio con il salame, pop corn e patatine quelli del discount che ti fanno venire l’ulcera, Cocacole e Fante più o meno autentiche, e crostate Montebovi, 500 lire al pezzo (che era pochissimo anche per quei tempi) buone per l’organismo al pari di artriti deformanti.

La padrona di casa si mosse goffamente per la stanza per andare a mettere su una cassetta di qualcosa di ballabile che non ricordo, tipo Claudio Cecchetto al quale seguì “The final Countdown” degli Europe, ma incredibilmente non ballò nessuno.

E dire che i genitori avevano spostato tutti i mobili del salotto ai lati, per fare spazio a peripezie danzanti che non avvennero mai.

Finite queste tre ore di strazio, che cercai di tramortire a suon di fanta e panini, pensai nel tragitto di aver sprecato un sabato pomeriggio nel quale potevo giocare, mentre mia madre alla guida della Renault argentata che ci riportava a casa mi sorrideva dicendomi “Hai visto che ti sei divertito? Ne valeva la pena, no?”

Accennai un finto sorriso in risposta.

Appena a casa, trotterellai in camera mia dove mio fratello più grande, già a letto stava leggendo un numero di TUTTO con Stallone in copertina al lumino del suo comodino, e ri accesi subito il mio Amiga 500, inserendo il codice che avevo segnato su un pezzo di carta a quadretti per essere trasportato subito all’ultimo livello.

Non ne sono sicuro, ma mi pare di ricordare che intravidi con la coda dell’occhio mia madre, sull’uscio della porta della mia stanza che mi fissava immobile per qualche secondo, prima di scivolare nella stanza da letto matrimoniale dove mio padre era già in mutande da ore, in poltrona di fronte al moviolone post partita di calcio, imprecando contro ignoti.

Rividi il finale del gioco, questa volta con tutti i credits, e mi misi a letto con una spiacevole sensazione di inadeguatezza, che mi fece compagnia fino a quando non mi addormentai.
Forse colpa delle patatine scadenti.

7.8

Voto assegnato da Gigetto
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