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Oldboy

ha scritto una recensione su Drakengard 2

Cover Drakengard 2 per PS2

“Love me. I want you to love me.”

Quelle richiamate nel titolo sono le parole pronunciate da un noto personaggio durante il filmato d’apertura di Drakengard 2 e, per quanto appartengano ad un contesto totalmente diverso, si prestano perfettamente ad un metaforico appello del gioco al giocatore.
Il titolo di Cavia del 2005, sequel diretto del primo capitolo uscito due anni prima, è un action rpg che in superfice cerca di mostrare miglioramenti rispetto al passato, a farsi amare dal giocatore appunto.
Il problema, semplicemente, è che non ci riesce mai davvero fino in fondo.
Drakengard del 2003 era sicuramente un titolo dalla natura complicata, ma aveva perlomeno l'attenuante di essere il primo della serie. Da un sequel ci si aspetterebbe quindi uno step ulteriore, un passo in più, anche piccolo, dettato dall’esperienza maturata con il lavoro precedente. Drakengard 2 sembra paradossalmente mettersi, con un impegno quasi sadico e autolesionista, nella condizione di fare quel piccolo passo all’indietro.
Il gioco a prima vista presenta indubbiamente alcune aggiunte ed una maggiore attenzione al gameplay rispetto al suo predecessore. Abbiamo ad esempio una telecamera leggermente migliorata (ma tutt’altro che stabile, va precisato), una scelta multipla tra i membri giocabili del party, non più ridotti a semplici evocazioni sporadiche. Vi è anche una maggiore profondità del sistema di attacchi e magie ed una valorizzazione di alcuni aspetti come la parata, che nel primo capitolo era pressoché inutile da usare.
Queste migliorie sono però vanificate da altre componenti del gioco che sono rimaste invariate dal primo capitolo o che sono addirittura peggiorate. La fastidiosa legnosità di fondo dei movimenti e degli attacchi di protagonisti e nemici, che martoriava già il primo Drakengard, qui persiste senza ostacoli. L’AI dei nemici è parecchio discutibile, ed in certi frangenti regala anche momenti tristemente comici. I comandi non rispondono sempre a dovere, causando la perdita casuale di una catena (le classiche combo di gioco) a prescindere dalla giusta pressione dei tasti. Un problema non da poco, visto che alimenta sensibilmente un grosso senso di frustrazione durante tutta l'avventura.
La ripetitività delle missioni, tallone d’achille già del primo Drakengard, qui è portata spesso e volentieri all’esasperazione. La longevità di Drakengard 2 è maggiore rispetto al primo titolo e non di poco, ma non rappresenta affatto un punto a favore. Questo perchè le missioni di gioco sono annacquate, inutilmente chiuse in degli schemi che hanno lo scopo di renderle il più lunghe possibili. Immaginate cose come fare spostamenti da punto A a punto B della mappa + ritorno + eliminazione di un gruppo di nemici in 3 o 4 fasi + spostamento a punto C e capirete cosa intendo.
A tutto questo va aggiunta inoltre una scelta piuttosto strana da parte di Cavia, ovvero la gestione delle missioni in sella al drago. Se nel primo Drakengard queste erano tutto sommato ben alternate con quelle a terra e rappresentavano forse le fasi più divertenti in termini di gameplay, in Drakengard 2 la sensazione principale è che il loro numero sia stato drasticamente ridotto in favore degli scontri a terra.
Altro punto abbastanza spinoso e motivo per cui purtroppo non ho trovato quella stessa voglia di sbloccare tutti i finali che il primo Drakengard, nonostante i suoi mille difetti, era riuscito a darmi: la sceneggiatura. L’assenza di Yoko Taro alla scrittura purtroppo si sente tutta. La storia di Drakengard 2 non riesce ad eguagliare la complessità e la profondità del capostipite, ed in alcuni punti presta anche il fianco ad alcune forzature (ad esempio, personaggi che potrebbero sbrogliare una situazione semplicemente aprendo bocca ma decidono, senza motivo, di non parlare). A parte qualche colpo di scena ben piazzato e dei momenti sinceramente toccanti soprattutto per i giocatori del primo capitolo, la storia non riuscirà mai ad essere realmente incisiva. Così come non riusciranno mai ad esserlo i personaggi, decisamente molto meno caratterizzati (e molto meno imperscrutabili, ambigui e carismatici rispetto a quelli di Drakengard). Un peccato perché i character design di Kimihiko Fujisaka e Taro Hasegawa avevano comunque il loro discreto potenziale.
Un pregio che merita sicuramente una menzione è l'epica colonna sonora curata da Ryoki Matsumoto e Aoi Yoshiki. Componimenti che non fanno rimpiangere le musiche di Nobuyoshi Sano e Takayuki Aihara, ovvero gli autori dell'OST del primo capitolo.
In conclusione, Drakengard 2 è un titolo che a conti fatti si rivela più un'occasione mancata che altro. Qualche novità interessante non basta a Cavia per rendere più efficace la sua formula, soprattutto se i problemi tecnici della serie rimangono preponderanti. Laddove il primo capitolo sopperiva alle sue magagne grazie perlomeno alla componente narrativa molto forte, qui la storia semplicemente non ha le spalle abbastanza larghe per reggere da sola l'intera baracca.
"Love me". Ma devi anche farti voler bene.