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Siegfried

ha scritto una recensione su Vampyr

Cover Vampyr per PS4

Supermassive Black Hole

Villa Diodati, 1816, un piccolo affiatato gruppo di scrittori e poeti si sfidano a colpi di penna per la miglior creazione a tema horror della serata.
Il risultato più famoso di quello strano concorso proverrà dalla mente di Mary Godwin con Frankenstein, pubblicato poi due anni più tardi.
Ma vi è un'altra storia a destare scalpore quella notte, una creatura che a posteriori entrerà nell'immaginario collettivo divenendo una delle figure folcloristiche più conosciute di sempre: il vampiro.
Steso nel 1819, dal racconto di John Polidori attingeranno numerosi scrittori tramandando e accrescendo così la popolarità del mostro.
Il vampiro diviene oggetto di numerose opere di fantasia, non era più quella figura terrorizzante frutto della superstizione dell'Europa orientale del XVII secolo.
Al vampiro dobbiamo infatti intere opere letterarie, saghe cinematografiche, serie televisive, è grazie a lui inoltre se esiste Castlevania, una delle serie videoludiche più amate e longeve.
Non deve quindi sorprendere la scelta di Dontnod nel trasporre un videogioco su tale creatura.
Presentato come il progetto più ambizioso, Vampyr doveva rappresentare la riconferma di un team talentuoso fino ad allora passato troppo in sordina.
Dopo l'ottimo Life is strange e l'altrettanto buon Remember me, era lecito aspettarsi un potenziale capolavoro.
Le premesse c'erano tutte: una trama intrigante, il fascino gotico di Londra e una stratificazione narrativa non comuni per il genere action.
Purtopppo non tutto è andato come previsto, vediamo dunque cosa non ha funzionato.

Siamo a Londra, è il 1918 e il medico Jonathan Reid di ritorno dalla guerra trova una città completamente stravolta da come l'aveva lasciata.
È in corso una strana pandemia che sta devastando la capitale e come se non bastasse, in seguito a misteriosi avvenimenti, Reid si risveglia in mezzo ai cadaveri da non-morto.
Qui comincia l'avventura del dottore alla ricerca di risposte su chi possa averlo trasformato.
Costretto a vivere da reietto a causa della sua nuova condizione, Jonathan troverà rifugio in un ospedale grazie a un suo collega che gli offrirà protezione, a patto di scoprire cosa si cela dietro la malattia che sta affliggendo la popolazione londinese.
Al di là del "lungo" preambolo a scopo introduttivo, le peculiarità di Vampyr vengono alla luce fin da subito: qui non si tratta solo di menare fendenti, il team transalpino si è prodigato nel creare un microcosmo il più credibile possibile.
Succhiare il sangue dalle malcapitate vittime non è solo un modo per recuperare salute, ma un ottimo metodo, nonchè il più rapido per guadagnare esperienza.
Sta a noi scegliere che percorso intraprendere, se quello del dialogo o quello della distruzione.
L'etica in Vampyr svolge un ruolo non indifferente nell'economia di gioco: spesso saremo chiamati a prendere decisioni rilevanti che avranno conseguenze importanti ai fini della trama.
Come ogni buona avventura narrativa, il titolo offre una discreta scelta di opzioni di dialogo, ognuna delle quali approfondirà lo straordinario universo interattivo creato da Dontnod.
Una fitta rete di personalità che avvolge la Londra virtuale, ognuna con una propria individualità e un proprio trascorso.
Gli attori - in questo caso - virtuali saranno tutti interconnessi tra di loro e non capiterà raramente che interloquendo con un npc si scopra una delle sottotrame che il gioco nasconde.
Dicevamo, succhiare il sangue degli abitanti è un ottimo modo per guadagnare esperienza.
Il team di sviluppo ha dato libero sfogo alla loro vena creativa amalgamando più generi.
Abbiamo visto l'importanza delle scelte morali ai fini della narrazione, di come ogni attore digitale ricopra una parte importante del background narrativo.
L'action che si fonde all'avventura grafica, e qui di seguito: l'action che si fonde al gioco di ruolo.
Proprio come in un generico rpg, Vampyr affonda le sue radici nella distribuzione dei punti esperienza guadagnati.
Pur non raggiungendo i vertici del genere, il titolo offre una varietà non risibile di abilità: si va dai poteri difensivi a quelli offensivi, fino ai classici parametri vitali, con tanto di ramificazioni all'interno tra le quali scegliere.
Naturalmente la nostra condotta infuenzerà pesantemente la difficoltà dell'avventura.
Uccidere tutto ciò che si muove sul nostro cammino ci renderà invicibili, d'altro canto ci precluderà conversazioni e missioni secondarie.
Scegliere il percorso della pace invece, sì ci darà modo di assaporare tutto quello che il gioco ha da offrire, di contro ci terrà costantemente sottolivellati.
Forse è proprio qui la bellezza di Vampyr, ovvero quello di offrire un livello di difficoltà dinamico in base al nostro operato, ogni scelta è importante non solo ai fini della trama, ma anche del gameplay.
Discorso accentuato dal fatto che non vi è la possibilità di effettuare salvataggi manuali e che dunque ogni decisione va pesata attentamente.
Il merito della software house francese è stato quella di costruire una complessa scala di grigi, non vi è decisione semplice in Vampyr e ogni azione intrapresa si fa sentire.
A tal proposito, da bravo medico, a Jonathan deve stare a cuore la salute dei suoi concittadini, curare i vari abitanti servirà a perseguire il benessere del quartiere.
Qualora non facessimo il nostro dovere, al termine della notte (passaggio obbligato se vorremo spendere gli exp) lo stato dei sobborghi londinesi peggiorerà rendendo il nostro passaggio più difficile del previsto.

Vampiri a parte, l'universo narrativo creato da Dontnod attinge alla mitologia orririfica europea, ai racconti cavallereschi toccando vecchie leggende letterarie gotiche.
Lo ritroveremo nelle parole dei superstiti, nei vari collezionabili che troveremo in giro per la città e soprattutto nei nemici che affronteremo.
Skal, Vulkod, Ekon, cacciatori di vampiri, le tipologie di nemici che affollano le strade di Londra è notevole.
Naturalmente con loro l'arte dell'oratoria sarà del tutto inutile, e qui entra in gioco l'anima action del titolo.
Tra l'hack n' slash e il souls like, il combat system di Vampyr ricorda vagamente quello dei titoli From Software.
Privo di quella profondità che lo ha reso celebre, il sistema di combattimento messo in atto da Dontnod sa anch'esso regalare i suoi momenti.
Carpire il ritmo dei nemici è la chiave del successo, attaccare a testa bassa è solo controproducente soprattutto se durante il gioco non avessimo "abbracciato" nessuno.
Tenendo presente che stiamo impersonando pur sempre una creatura sovrannaturale, Vampyr mette a disposizione un ampio arsenale: si va dai pugnali, paletti, sciabole, mazze fino alle pistole per colpire dalla distanza.
I combattimenti prendono presto una piega inaspettata per quanto mostrato prima.
Quello che lascia insoddisfatti purtroppo è il comparto tecnico, in contrasto con le potenzialità del titolo.
Lo si avverte nei combattimenti, legnosi nelle animazioni e goffi nell'esecuzione, fino alle numerose incursioni tra le vie di Londra.
Glitch, crash, cali di frame e caricamenti improvisi minano le lunghe fasi esplorative simili anch'esssi a quello dei vari titoli From.
Un peccato se consideriamo il pregevole level design che abbracciano gli scenari concepiti da Dontnod.
Una Londra claustrofobica, stutturata in molteplici capillari progressivamente sempre più accesibili, dove il giocatore è incoraggiato nell'investigazione e nella ricerca di una strada più consona.

Vampyr è un gioco che dimostra ancora una volta la bravura di un team nel confezionare un prodotto dalle larghe pretese.
Narrativamente accattivante, la penna di Dontnod emerge nonostante la differenza di genere che decorre con Life is Strange e da sola è capace di tenere in piedi tutto il titolo.
Ragguardevole la struttura ludica, elogio di organicità sincronica, in divergenza con le possibilità economiche, incapaci di sostenere le grandi ambizioni dello studio.
In definitiva un potenziale capolavoro oscurato da difetti tecnici che non gli permette di brillare come dovrebbe.
Sarà per un'altra volta Dontnod

PRO
- Narrazione accattivante
- Ambientazione affascinante
- Ecosistema dei personaggi profondo
- Giusto mix di elementi/generi
CONTRO
- Combat system zoppicante
- Tecnicamente deficitario

Siegfried

ha scritto una recensione su Wheels of Aurelia

Cover Wheels of Aurelia per PS4

70 Special

Maria Grazia Lombardi detta Lella è una donna di 32 anni figlia della Roma bene, nata e cresciuta ai Parioli da una famiglia più che benestante.
Al contrario di quanto possa sembrare, la vita con Lella non è stata generosa.
Coinvolta in degli spiacevoli eventi e stanca di quella vita che non fa per lei, dopo un serata trascorsa al Piper la protagonista decide di partire lontano da quel paese in cui sembra non riconoscersi più.
È il 1978 e l'Italia sta attraversando un periodo di forti turbolenze socio-politiche, siamo nei cosidetti anni di piombo.
Le recenti vicissitudini nel Bel Paese hanno profondamente scosso Maria Grazia, al punto da prendere e voler partire verso Nizza per incontrare una persona che in passato le ha cambiato la vita.
Femmista, amante dei motori, di Pasolini e del '68 francese, Lella incarna il progressismo di quell'epoca fatto di grandi rivolte sociali e riforme.
Per gli appassionati di Formula 1 il nome della protagonista risulterà sicuramente familiare, no, la Lella Lombardi del gioco non è la stessa della realtà, o meglio solo in parte.
Le vicende che caratterizzano la nostra protagonista sono solo in parte ispirate da eventi realmente accaduti.
La seconda pilota donna della storia della Formula 1 non è la sola fonte di ispirazione, lo è anche Giovanna Amati, figlia di un noto imprenditore romano che ha in comune con Lella ben più di quanto si possa immaginare (per informazioni cercare biografia su wikipedia).
Le similitudini di eventi reali in Wheels of Aurelia non si limitano solamente al personaggio principale, il gioco è un continuo rimando agli eventi che hanno interessato il popolo italiano in quegli anni.
L'indie tutto nostrano rappresenta uno spaccato della società di allora.
Abbiamo dunque temi come l'aborto, il rapimento di Aldo Moro, lo scandalo Lockheed, Andreotti, il festival di Sanremo, le Brigate Rosse ecc.
Wheels of Aurelia è un gioco di guida, ma non il gioco di guida che intendiamo solitamente, qui non si gareggia, si parla.
Il luogo in cui si svolgono le allegre scorribande di Lella e compagni è la celebre Via Aurelia.
Il gioco è interamente ambientato sulla lunga via che percorre tutta la costa tirrenica arrivando oltre confine fino a Nizza.
Non mancheranno piccole diramazioni tra le quali scegliere che spaziano da Civitavecchia, Piombino, Siena, Bracciano, arrivando fino a Viareggio.
A voler essere più precisi Wheels of Aurelia non è un videogioco di guida, è un gioco DOVE si guida.
Ragion per cui le interazioni ludiche sono assai limitate: oltre allo sterzo affidato alla levetta analogica sinistra, potremo solo accelerare per andare a una velocità più sostenuta.
La verità è che il titolo prodotto da Santa Ragione è molto più simile a un videogioco Telltale.
Abbiamo quindi una discreta possibilità di scelta tra le opzioni di dialogo che comporteranno, in base alla risposta a nuovi avvenimenti, nuovi argomenti.
Come diceva una vecchia pubblicità, la vera essenza del viaggio non è la meta ma il viaggio stesso.
Lella non sarà sola nel suo viaggio, sarà accompagnata appunto da Olga, una ragazza confusa cresciuta da una famiglia bigotta che vede in Maria Grazia una possibilità di appiglio.
Seguiranno altri personaggi (presentati come autostoppisti) come per esempio un prete, un tifoso Juventino, un giornalista, che arricchiranno tutto il background narrativo.
Purtroppo non tutte le opzioni di dialogo sono riuscite allo stesso modo, lo stesso si può dire di certi avvenimenti poco credibili e superficiali.
Il videogioco è strutturato in modo tale da offrire un'alta rigiocabilità così da invogliare a scoprire tutto quello che i dialoghi hanno da offrire.
Arrivare ai titoli di coda impiega circa 15 minuti, al termine dei quali si verrà indirizzati a uno dei ben 16 finali presenti.
Aldilà dei vari epiloghi e intrecci narrativi, ci sono pochi motivi che spingono a rigiocare il titolo se non quello di sbloccare le varie auto con cui partire o completare tutte le voci su Wheelpedia (una piccola variante di Wikipedia).
Per rappresentare il paesaggio italiano è stato scelto di usare uno spartano low-poly con una visuale a volo d'uccello che copre la vasta area circostante permettendoci di scorgere l'intero panorama.
Una scelta dettata dalla scarsa disponibilità economica del team, ma che riproduce semplicemente le varie strutture che incontreremo sul nostro cammino.
Sono facilmente riconoscibili e distinguibili quindi le peculiarità che pervadono gli edifici di Siena, Bracciano, Civitavecchia...
D'altro canto lo stile grafico usato appare eccesivamente minimalista da far sembrare spoglio lo scenario.
Menzione d'onore va alla splendida colonna sonora che riproduce fedelmente le sonorità vagamente progressive rock del periodo di cui l'Italia tra l'altro era forte esponente.

Wheels of Aurelia è un videogioco atipico, si spoglia di tutti gli stilemi e propone un road movie, in questo caso un road game, che appassiona e fa riflettere.
Un viaggio nell'Italia anni '70, un viaggio nella nostra storia repubblicana che attraverso personaggi fittizi racconta di una realtà complessa e mai rappresentata in un videogioco, tutto ciò senza mai essere fazioso.
Proprio per questo un prodotto non comprensibile da tutti, specie chi quel periodo non l'ha vissutto, ma fruibile da tutti e che non sminuisce l'operato di Santa Ragione.
Certamente non esente da critiche, sviscerare Wheels of Aurelia significa far fronte a limitate linee di testo che stonano con la rigiocabilità del titolo.
Rimane tuttavia un acquisto consigliato, magari in presenza di uno sconto, anche solo per cogliere le problematiche di quel periodo che hanno segnato l'Italia per sempre.
E poi su PS4 la superlativa colonna sonora è inclusa nel prezzo.

PRO
- Temi maturi e delicati
- OST impeccabile

CONTRO
- Forte ripetizione di dialoghi e argomenti
- Gestione dialoghi un po' superficiale

Siegfried

ha scritto una recensione su Concrete Genie

Cover Concrete Genie per PS4

E guardo il mondo da un oblò...

Ci sono videogiochi come Uncharted, Bloodborne o Death Stranding, titoli che muovono milioni di appassionati, che svolgono un ruolo fondamentale, decretando il successo o il fallimento di una console; e poi ci sono videogiochi come Concrete Genie, titoli che escono in sordina, quasi nel silenzio più totale, nascosti nel grande marasma del mercato odierno.
Spesso davanti a piccole produzioni si celano delle piccole perle capaci di rivaleggiare se non superare i tanto famigerati tripla A.
Sony in questi anni si è dimostrata molto brava ad assecondare l'utenza Playstation sia da un lato che dall'altro, sfornando autentici capolavori che non hanno niente da invidiare alle loro controparti più blasonate, basti pensare a Journey o al recentissimo Dreams, in grado di soddisfare una fetta di pubblico per molti anni a venire.
Concrete Genie a un primo impatto sembra non essere da meno, grazie a un comparto stilistico meraviglioso e un gameplay non banale, dettato anche dalla possibilità di giocare attraverso il visore per la realtà virtuale.
Il tema centrale del gioco è il bullismo; Ash, il protagonista della storia (qui non si andrà a caccia di pokémon state tranquilli), è un giovane ragazzo a cui piace disegnare e farsi trasportare dall'immaginazione dei suoi disegni. Purtroppo per via della sua vena creativa è spesso preso di mira dai bulli, i quali strappano le pagine dei disegni del ragazzo facendole disperdere in tutta la città di Denska.
Starà a noi aiutare Ash a recuperare le varie pagine del diario attraverso il suo pennello magico in grado di dare vita alle sue creazioni, stando attenti ai bulli che si aggirano tra i vicoli della città.
L'intento dei ragazzi di PixelOpus non è chiaramente quello di fare critica sociale, ma di intrattenere per quelle poche ore necessarie a completare il gioco in totale leggerezza, senza sovraccaricare il giocatore di concetti che sarebbero solo inutili nell'ottica del target scelto.
Tuttavia, la trama che come già detto ruota attorno al bullismo arrivando a toccare altri temi come l'inquinamento, risulta forse a causa dell'eccessiva brevità del titolo un po' pedissequa.
Discutibilmente, criticare Concrete Genie ingigantendo tale mancanza sarebbe ingeneroso, va fatto presente però che manca quel guizzo, quella marcia in più che avrebbe permesso al titolo di fare il salto di qualità.
La piccola avventura di Ash è aspersa di valori e problematiche sociali che scalfiscono solo la superficie senza mai andare a fondo.
Quando ci si rapporta con le piccole produzioni spesso abbiamo a che fare con piccole opere in movimento proprio per ovviare ai limiti imposti dal budget, in questo caso Concrete Genie offre un buon colpo d'occhio.
Visivamente molto gradevole, il titolo può ricordare i vari lungometraggi d'animazione americani; Denska sa regalare dei bei scorci e funge da ottima tela per i nostri disegni che via via andranno a riempire la piccola città con l'avanzare dell'avventura.
La palette di colori utilizzata rende tutto più magico e interessante senza rinunciare a quel velo di malinconia che il titolo dispone.
Dal punto di vista ludico il movimento del controller servirà a mimare il gesto del pennello: disegnare attraverso il giroscopio del dualshock 4 è alla portata di chiunque, basta selezionare tra una discreta scelta di disegni disponibili (sbloccati con i collezionabili) e dare una semplice pennellata virtuale per animare il nostro disegno.
Attenzione: Concrete Genie non si limita a essere un "mero" Art Accademy made in Sony, ma intervalla il disegnare a piccole sezioni platform, puzzle e di combattimento.
Il gioco infatti si divide in 2 tronconi: il primo più tranquillo dove bisognerà ridare colore alla città evitando i bulli e superare semplici enigmi ambientali grazie all'ausilio dei nostri geni (le creature che prendono vita); il secondo più frenetico e forse più interessante, che avrebbe meritato certamente più spazio.
A una fase più riflessiva si contrappone una densa di combattimenti.
Niente di difficile, anzi, il gioco resterà accessibile da chiunque dall'inizio alla fine, e se ci dovessimo bloccare in un dato enigma, dopo pochi minuti un suggerimento ci dirà come proseguire.
Una scelta che non farà felici tutti, ma ricordiamoci che Concrete Genie è un gioco pensato per un'utenza più giovane, apprezzabile anche dai giocatori più smaliziati.
Quello che lascia insoddisfatti è il tempo dedicato a quest'ultima porzione di gioco, troppo sbrigativa, tanto da ridurre il tutto alla stregua di un megatutorial.
Concrete Genie è per l'appunto terminabile in 5-6 ore più altre 2 per raccogliere tutto, un po' poche per un gioco dalla forte dinamicità.
La scarsa longevità non permette al titolo di esplodere e questo è un peccato, perchè il gioco avrebbe tutte le carte in regola per emulare il successo di altre esclusive Sony.
La piccola produzione targata PixelOpus rimane tuttavia anche grazie al suo prezzo budget un'opera caldamente consigliabile, intrappolata da una precisa direzione autoriale che non le permette di concorrere dove potrebbe.
Il classico "è intelligente ma non si applica": in questo caso Concrete Genie si è applicato, ma non abbastanza da ambire a certi traguardi.
Sarebbe bastata qualche accortezza in più e una maggiore consapevolezza delle proprie capacità per regalare agli utenti della console Sony un'altra esperienza indimenticabile.

PRO
- Ragguardevole direzione artistica
- Una piccola favola che sa toccare le giuste corde...
- Adatto a grandi e piccini

CONTRO
- la seconda metà di gioco poteva essere sfuttata meglio
- ... ma che non osa
- Solo 5 ore per completare la storia

Siegfried

ha scritto una recensione su Shenmue III

Cover Shenmue III per PS4

Are we the waiting

"Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano" , parafrasando la canzone di Venditti, la storia di questo terzo capitolo ricorda molto il verso appena citato.
Non è compito della recensione spiegare il motivo per cui questa serie è così speciale, basta solamente dire che Shenmue è uno dei videogiochi più importanti di tutti i tempi nonché il primo colossal dell'era moderna.
Per quanto strano possa sembrare, Shenmue non ha mai goduto di chissà quali vendite nonostante ai tempi fosse rivoluzionario ridefinendo il concetto stesso di videogioco, anzi, è stato un fallimento commerciale sotto tutti i punti di vista.
Malgrado ciò si era creata una piccola nicchia attorno al gioco proteggendolo con la stessa cura dimostrata dall'autore per la sua creazione, alimentando così il mito Shenmue.
La speranza mai svanita dei fan è stata finalmente ricompensata quando nel 2015, un pomeriggio di metà giugno, il leggendario Yu Suzuki è salito sul palco dell'E3 di Los Angeles annunciando tramite una campagna su Kickstarter Shenmue 3.
Le persone impazzirono, chi urlava dalla felicità, chi piangeva dalla gioia, neanche a dirlo il titolo raggiunse la soglia prefissata in un baleno divenendo uno dei progetti più finanziati di sempre della piattaforma.
Aspettarsi lo stesso impatto degli altri due titoli sarebbe ingenuo, Shenmue 3 non può per forza di cose provare a fare quello che 20 anni fa la serie fece sul 128 bit Sega; ricordiamo che il progetto Shenmue richiese ben 50-70 milioni di sviluppo contro i 6 del terzo capitolo.
La verità è che Shenmue 3 appare come un gioco vecchio (espressione non proprio corretta ma ci torneremo in seguito), lo si nota alla prima schermata di caricamento con la classica barra che contraddistingueva i classici giochi del passato.
Shenmue 3 inizia precisamente dove finisce il secondo capitolo, come se fosse passato un giorno da quel 23 novembre 2001, data d'uscita europea, poco importa se sono passati più di 15 anni, perché Shenhua ci rinfrescherà subito la memoria mostrandoci quello che Ryo potrà e non potrà fare.
Chi ha giocato i precedenti e aspettava questo terzo capitolo più della seconda venuta del messia, si ritroverà subito a proprio agio e non farà fatica a muoversi nella nuova location.
Tutto è esattamente come ricordavamo, compresi i limiti tecnici, ormai vetusti, dei 2 videogiochi Dreamcast, difatti balzerà subito all'occhio la legnosità nei movimenti di Ryo, la compenetrazione di poligoni e i problemi di pop up degli npc quando ci si sposta velocemente da una zona all'altra.
La causa di questi problemi è facilmente da ricercare nel limitato budget, pur sempre troppo poco per le grandi pretese della produzione.
Fortunatamente il team guidato da Yu Suzuki ha saputo mascherare i limiti imposti dal budget donando al gioco un aspetto molto colorato, puntando dunque sull'estetica.
Stilisticamente, Ys Net ha fatto un lavoro egregio, non saranno poche le volte in cui verremo catturati dalle grandi vallate in fiore, ipnotizzati dalla straordinaria musica che ci accompagna nelle nostre passeggiate pomeridiane.
Bailu (e non solo) sa regalare degli scorci molto gradevoli, complice anche la gestione dell'illuminazione che svolge un ruolo importante nel creare un ambiente verosimile con le poche risorse disponibili.
Lo stile dei titoli passati non lo ritroviamo solo negli ambienti, ma anche nell'aspetto dei vari npc che incontreremo durante il nostro cammino.
Volutamente un pò caricaturale, i visi non stonano con il resto, ma anzi aiutano a descrivere meglio un dato personaggio e a caratterizzarlo meglio.
Non si può dire lo stesso di tutti vista anche la grande moltitudine di personalità con cui interagiremo, tuttavia il risultato finale è comunque apprezzabile e in gran parte riuscito.
Sono molte le attività che Ryo potrà svolgere nel corso della giornata, come allenarsi nel dojo del villaggio per raffinare le nostre tecniche di combattimento, lavorare facendo piccole e semplici mansioni, giocare in sala giochi, pescare, raccogliere erbe e scommettere nei vari stand per aumentare la nostra disponibilità monetaria, processo questa volta reso un po' più articolato dato dal fatto che non si vincerà più soldi ma tokens da scambiare.
Le novità non mancano, una di queste è proprio parte integrante del gameplay: il combat system.
Shenmue 3 abbandona il fil rouge che legava la serie a Virtua Fighter, altra sfortunata serie dello stesso Suzuki.
Ogni tecnica di combattimento ha una sua combinazione e una sua utilità, se Tornado kick è efficace contro un grande numero di avversari, Eclipse è molto potente ma ci lascerà scoperti, rimane dunque fondamentale individuare i pro e i contro di ogni mossa.
Allenarsi non significa solo aumentare le proprie statistiche difensive o offensive, significa anche memorizzare i vari imput di comando, fortunatamente il gioco ci viene incontro assegnando una scorciatoia (autocombo) a una delle tante mosse disponibili.
Se il profondo legame con Virtua Fighter viene meno, non viene meno invece la filosofia dietro le arti marziali, orientate a magnificare i valori più profondi, inducendo il giocatore a pensarle come qualcosa di più ampio rispetto al mero confronto fisico con l'avversario.
Il combattimento in Shenmue è inteso non come strumento di offesa, ma come mezzo di intensificazione dello spirito.
Altra novità e forse la più controversa è il dover mangiare, pena la riduzione della salute e l'impossibilità di correre.
L'introduzione di questa nuova meccanica così invasiva è figlia della visione dell'autore, di quella ricerca della realtà in una simulazione.
L'ossessione di Suzuki verso la realtà simulata è talmente grande che non la ritroviamo solo in una meccanica, ma in tutto il gioco.
È il caso per esempio delle missioni secondarie, delle normalissime fetch quest affidateci dagli abitanti del luogo dove non faremo altro che assecondare le loro piccole richieste che prevedono l'ottenimento di uno specifico oggetto o il soddisfacimento di qualche buffa richiesta.
La normalità è il dogma da seguire perchè è proprio questa a rendere speciale Shenmue.
Criticabile piuttosto, è quando l'ordinarietà viene usata come espediente narrativo per rallentare la trama con sezioni tediose e prolisse come ad allungare il brodo.
Ultima ma non meno importante, è la possibilità questa volta, grazie anche ai backers italiani, di giocare nella nostra lingua madre, purtroppo l'esito finale non è dei migliori, difatti non mancano espressioni sbagliate o non consone alla situazione .
Come di consueto per il parlato c'è la possibilità di scegliere tra l'inglese e il giapponese, quest'ultimo più convincente.
CONCLUSIONE
Shenmue 3 si presenta giustamente con le stesse pecularietà dei predecessori e non tradisce i fan che aspettavano questo capitolo da una vita, sarà più faticoso invece per la nuova utenza, abituati dalla frenesia dei giochi di oggi, sostenere i ritmi quasi contemplativi che il titolo offre.
18 anni di attesa non sono pochi, additare Shenmue 3 come gioco vecchio sarebbe tuttavia ingeneroso perchè permeato di quell'autorialità che lo contraddistingue.
Sarebbe allora più giusto definire Shenmue 3 come un videogioco fuori dal tempo, lontano dai canoni dei tripla A odierni, incapace di stravolgere i videogiocatori come 20 anni fa.
Nonostante ciò, Shenmue 3 è un sogno che si avvera, un miracolo che si realizza, la vittoria dell'intero medium.
Shenmue 3 è un atto dovuto.
Sperando di non attendere altri 18 anni per il quarto capitolo.

PRO
- Finalmente Shenmue 3
- La continuazione di una storia senza stravolgere nulla
- Musiche favolose
- Buon uso dell'Unreal engine 4, colpo d'occhio notevole
CONTRO
- Ritmi molto lenti, trama prolissa con troppi riempitivi
- Potenziale inespresso
- Tecnicamente datato
- Qualche sbavatura nella localizzazione

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