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L'intervista a Marco Crepaldi, il founder di Hikikomori Italia

Ritorniamo sull'argomento dipendenza da videogiochi e isolamento sociale con un'intervista autorevole, concessa dal Dott. Marco Crepaldi, il founder dell'associazione Hikikomori Italia. L'argomento del momento è questo. Non siamo sicuramente nè i primi e nè gli ultimi a dirlo. Una rapida ricerca in google ve lo confermerà. Le iniziative sono tante e in molti, e forse in troppi, parlano. Per correre ai ripari e fornire una bussola ferma e sicura abbiamo preferito parlare con chi la materia la conosce, la pratica e la divulga con coscienza e cognizione di causa. Vi lasciamo, dunque, all'intervista con il Dott. Marco Crepaldi che parlerà del lavoro svolto con Hikikomori Italia e non solo.



Cominciamo con una domanda rompighiaccio: di cosa si occupa la vostra associazione e in particolare, se avete avuto dei punti di contatto con il mondo dei videogiochi?



Ci occupiamo di isolamento sociale volontario, in particolare giovanile, ma tra i nostri associati ci sono alcuni casi anche di genitori che hanno figli hikikomori oltre i 35 anni. Non ci occupiamo specificatamente di videogiochi, ma indirettamente poiché il Gaming Disorder è una delle potenziali psicopatologie che si possono associare all'isolamento (come conseguenza e non come causa diretta).



Ho sempre pensato alla cameretta come un posto sicuro. In silenzio con la mia console entravo in un mondo senza problemi. Dopo lo speciale ho capito che la cameretta può invece nascondere molto bene un problema non molto evidente. Come è possibile questa cosa?



Per approfondire:
I videogiochi, tra isolamento e alternativa sociale



Vedete, l'aspetto bello di questa iniziativa è il punto di vista. L'uomo cerca spontaneamente dei luoghi sicuri dove può sentirsi a suo agio e abbassare il livello di stress che invece richiede l'esplorazione. La casa, e in particolare la cameretta, rappresentano il luogo sicuro per eccellenza dove possiamo rigenerarci. Il problema è che negli ultimi anni il livello di confort generato dall'abitazione, di fatto un agglomerato intensivo di piaceri edonici, dall'intrattenimento, al senso di sicurezza, fino all'abbassamento della pressione dell'autorealizzazione personale, ci spinge a diventarne dipendenti al punto da non trovare, talvolta, una vera motivazione per abbandonarla. Qual è il problema in tutto questo? Che la nostra “zona di confort” diventa sempre più stretta e limitata, fino a diventare una gabbia che ci soffoca e che non saremo più in grado di abbandonare nemmeno qualora ne sentissimo l'esigenza.



Uscire dalla propria zona di confort significa fare nuova esperienza, sbagliare, mettersi in condizioni di imparare e dunque crescere. L'hikikomori, di fatto, sprofonda in questa sensazione di protezione che gli fornisce l'abitazione, fino ad abbandonarsene del tutto, diventando però anche incredibilmente fragile e dipendente dai genitori, non sono dal punto di vista economico, ma spesso anche pratico.



La nostra 'zona di confort' diventa una gabbia che ci soffoca e che non saremo più in grado di abbandonare nemmeno qualora ne sentissimo l'esigenza.

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24 dicembre 2019 alle 15:50

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